Visualizzazione post con etichetta film. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta film. Mostra tutti i post

venerdì 2 ottobre 2015

Un divertente reportage video da Parigi sui luoghi di "Le vie del Signore sono finite" di Massimo Troisi

massimo troisi le vie del signore sono finite parigi
Il grande amico di Massimo (e mio) Roberto, specializzato in location come me, ci manda questo suo divertente reportage dai luoghi di "Le vie del Signore sono finite" a Parigi. Una simpatia contagiosa, una risata travolgente che ci teletrasportano tutti lì insieme a lui e a Camillo Pianese, ripassando scene e battute che hanno preso vita proprio su quel selciato. Farsi migliaia di chilometri per passione per calpestare quei posti, condividere le proprie emozioni e la propria gioia. Amici di Massimo Troisi è anche questo, ed è qualcosa di assolutamente unico.

Grazie a Roberto.

Cristiano
 
                            
Massimo Troisi Parigi Le vie del Signore sono finite Notredame

Massimo Troisi Parigi Le vie del Signore sono finite Notredame
 

mercoledì 6 maggio 2015

"Cara Chiara...": la bambina che avvelenò Massimo Troisi spiega la sua bravura (VIDEO)

massimo troisi veleno pensavo fosse amore invece era un calesse"Parlare di Massimo é sempre un gran piacere. Ricordi la scena del caffè avvelenato? Io da quella scena ho capito quanto fosse bravo Troisi: io recitavo le battute dietro la macchina da presa, perchè in quel momento inquadravano solo lui che inizia a fare tutte quelle smorfie, che SICURAMENTE ricorderai. Io e tutto il resto della troupe ridevamo come matti, con le lacrime agli occhi e lui imperterrito a recitare! Più di una volta, dovemmo ripetere quella scena perchè era venuta mossa dalle risate del cameraman!
Solo Troisi poteva fare queste cose! "

Alessia Salustri, l'indimenticabile Chiara di "Pensavo fosse amore invece era un calesse"
 
 
Grazie a Giuseppe, autore di una pagina Facebook dedicata a Massimo davvero ben fatta e copiatissima come il nostro blog.

massimo troisi veleno pensavo fosse amore invece era un calesse

venerdì 13 febbraio 2015

Video inedito amatoriale: dieci minuti su un set di Massimo Troisi

Dal 13 luglio 1991 e per nove settimane Massimo Troisi gira il suo ultimo film da regista, "Pensavo fosse amore invece era un calesse". Con Anna Pavignano sceglie di scrivere un piccolo trattato d'amore, dove anche le fugaci comparse non parlano d'altro. Analizza il sentimento piazzandolo sotto ad un microscopio, osservando tutti gli organismi viventi che ci sguazzano dentro con concitazione. Il film uscirà il successivo 21 dicembre, incassando 15 miliardi di lire e vincendo un "Nastro d'argento" e un "Ciak d'oro". Quello che vi presento oggi è una sorta di backstage inedito e amatoriale, che ci fa vivere dieci minuti su un set di Massimo Troisi. Gli inconvenienti non mancano, ma Massimo, anche quando disapprova gli errori, tiene in mano la situazione con grande garbo, sicurezza e fermezza. E l'atmosfera sul set resta sempre tranquilla, pur col pieno fermento schizofrenico di quando si gira un qualsiasi film. 

Ho scelto in particolare la scena (girata al Borgo Marinari di Napoli) di Enea che arriva con una rumorosa motocicletta a prendere Cecilia, mentre Tommaso le dice: "Ah, avete deciso di comprare [casa]...come mai? Che, avete problemi? Ma se uno sta bene insieme, non capisco perché deve andare a prendere...uno dice "Viviamo insieme" quando vuol dire che le cose non vanno...Infatti poi quando peggiorano dice: "Perché non ci sposiamo?"...che proprio cominciate che non ce la fate più: "Che facciamo un figlio?". E quando alla fine vi odiate ma siete vecchi, dite "Che ci lasciamo proprio adesso che siamo vecchi?!". È quello il percorso". Credo che la visione di questa perla sia un'esperienza speciale, unica, che ci fa vivere ancora una volta qualche attimo vicino a Massimo, mentre prepara l'ennesimo film che vedremo e rivedremo a vita, ogni volta con lo stupore, il divertimento, l'emozione e l'ammirazione della prima. Un grazie speciale a Pasquale.

Cristiano
                                

giovedì 11 dicembre 2014

Una comicità sempre nuova: Massimo Troisi come Totò e Peppino

Visto che ci copiano ormai senza nemmeno fare più lo sforzo di cambiare le foto, riproponiamo qui la prefazione al libro di Lunetta Savino firmata dal Nostro, già pubblicata on line quindici anni fa su "Non ci resta che ricordarti" al seguente link: http://digilander.libero.it/webtroisi/pagine/lui%20eduardo....htm. Un articolo acuto e pieno di spunti interessanti, a me però in particolare ha colpito questa frase: "A me capita quando vedo Totò, ma specialmente Totò e Peppino insieme, di vedere una cosa e di rivederla e scoprire altre cose, rivederla e scopri 'nu gesto: quindi, vuol dire che lui in quel momento, ha proposto e ha costruito un qualcosa che non è leggibile immediatamente; ecco perché io dico puro però eccezionale". E' esattamente quello che mi capita quando rivedo un film di Massimo per l'ennesima volta. Sarà che lui ha saputo diventare l'ultimo erede di due comici immensi come appunto Totò e Peppino.


Lui, Eduardo e papà Scarpetta
di Massimo Troisi
 
Purtroppo non ho mai conosciuto Peppino De Filippo e lui è sicuramente di quelle persone che ti rammarichi di non aver conosciuto. Però l'ho visto a teatro. Ero molto piccolo, e sono andato con mio cognato che era vigile del fuoco, al Politeama, a Napoli, e così sono entrato da dietro con lui, con tutta l' emozione... Davano “A che servono questi quattrini”, e io ho visto lui, Peppino, che passeggiava, cu' 'e 'mmane dietro, e m'ha dato l'idea come forse anche noi diamo agli altri di una persona molto seria, molto tranquilla... M'avrebbe fatto piacere si' me diceva qualche frase che poi potevo riportare nella vita, dire: "E poi disse...", invece no, non disse niente è forse è stato giusto accussì, perché poi, di solito, in queste occasioni i grossi personaggi dicono le cose più stupide e banali. Un'eccezionale normalità lui, secondo me, è come 'o sillabbario. Quando io l'immagino, l'immagino puro, immagino cioè una comicità allo stato puro. Si può immaginare che la comicità pura è anche di Totò, e invece no, Totò è già chella elaborata. Io credo, cioè, che della comicità portata al livello di Peppino non ne può fare a meno nessun comico. Eduardo si è affinato più nel classico, Totò nel surreale, in quello che lui è riuscito a inventarsi come personaggio, Peppino, nella normalità era il massimo. Credo comunque, al di là di tutti i discorsi che si possono fare, che quando si parla di questi grossi personaggi, si parte dal presupposto che, comunque, siano delle persone intelligenti: io credo che siano eccezionalmente intelligenti Totò, Eduardo, Peppino, ma pure Sordi, per non restare solo nell' ambito napoletano; Sordi, secondo me, è un inventore di cose nuove, di comicità nuova, è stato un precursore. Forse si può parlare di normale fatto da una persona eccezionale, perché Peppino è dentro quello che fa. Non so se poi c'è dietro uno studio, perché non so se lui studiava il personaggio, ma sicuramente un'immedesimazione, in quel momento, a far vivere quel personaggio, quindi a dargli quello che, forse, è più difficile per un attore, per un comico, a dargli i particolari. A me capita quando vedo Totò, ma specialmente Totò e Peppino insieme, di vedere una cosa e di rivederla e scoprire altre cose, rivederla e scopri 'nu gesto: quindi, vuol dire che lui in quel momento, ha proposto e ha costruito un qualcosa che non è leggibile immediatamente; ecco perché io dico puro però eccezionale, perché puro sarebbe veramente il sillabario scritto da tutti dove A è A, B è B, invece lui ha scritto quello dove nella A puoi leggere qualche cosa di più. Ma è un caso stranissimo che io mi ritrovo, proprio ora, a parlare di Peppino, in un momento in cui, io, dovendomi calare nel personaggio di Pulcinella (nel film che sto girando con Ettore Scola, "Il viaggio di Capitan Fracassa") non so per quale mistero, non so per quale spinta interiore, per quale intuizione, che poi è quella che fa fare ogni cosa, io ho pensato a Peppino. Ho pensato alla napoletanità trasmessa in un certo modo, io dico, del ritmo, nei tempi, nei tempi comici, nell'incrinazione della voce: la sua comicità irresistibile. Lui, secondo me, è tutto quello che c'è prima dell'invenzione in più. Credo che lui abbia fatto eccezionale la normalità, sia riuscito a rendere eccezionale quello che si pensa che qualunque comico debba avere come bagaglio naturale: lui l'ha fatto assurgere a eccezionalità. Non saprei dire dove inizia per me il ricordo del teatro napoletano, dove finisce, dove è qualcosa di mediato attraverso la televisione, e non saprei nemmeno dire chi ho amato di più, se Peppino, se Eduardo, se Totò, perché li ho amati veramente tutti, anche senza essere un assiduo, perché poi a teatro ci andavo veramente poco. Sarò andato a vedere una volta Eduardo, prima di iniziare a fare l'attore, e una volta sola, purtroppo, Peppino. Peggio per chi non ha capito però, soprattutto attraverso i film e la televisione, qualcosa forse mi è cresciuto dentro. Sicuramente qualcosa di mediato da uno che fa spettacolo, mediato dall'intelligenza della quale parlavo prima, intelligenza che vuol dire sensibilità, non vuol dire preparazione culturale; e allora tutti questi elementi fanno diventare un attore, e quindi di conseguenza il suo personaggio, somigliante a un modello preciso, che però nello stesso tempo non ti dà l'idea di qualcosa di già visto, che è importante, perché vedere o sentire il già visto toglie molto alla freschezza. So che Peppino si è rammaricato più volte di non essere considerato abbastanza anche come autore oltre che come attore. Ma...che dire, peggio per chi non è riuscito a entrare nel suo mondo, a capirlo; insomma va tutto a discapito di chi non è riuscito a godersi pienamente questa cosa, e lo sta facendo mo' o lo farà tra dieci anni; lui non c'entra niente. Pure il fatto, per esempio, che Totò non ha avuto più bisogno del cognome, Eduardo nemmeno, lui invece s' 'a avuta purta' pure 'o cugnome, ma, secondo me, stava benissimo anche lui solo con Peppino!
 

venerdì 12 settembre 2014

Massimo Troisi protagonista del 16° Napoli Film Festival

Dal 29 settembre all’8 ottobre all'interno del 16° Napoli Film Festival ci sarà un viaggio nel cinema di Massimo Troisi. Sullo schermo del cinema Metropolitan verranno riproposte le cinque opere da lui dirette e interpretate: "Ricomincio da tre", "Scusate il ritardo", "Non ci resta che piangere", "Le vie del Signore sono finite", "Pensavo fosse amore invece era un calesse".
    

mercoledì 13 agosto 2014

Reportage da Salina, l'isola del postino Massimo Troisi - Terza parte

Continua il nostro ennesimo viaggio nella magia di Salina. Qui inizia "Il postino", nella baia di Pollara, dove i pescatori tirano a secco le barche a vela (ricostruite da alcuni vecchi pescatori di Salina) nei rifugi modellati nella roccia da madre natura. Un luogo unico per fare un bagno e godersi il tramonto.

 

Eccoli, i rifugi delle barche rialzati con cantinelle e cartapesta per trasformarsi nella modesta casa del postino Mario Ruoppolo. Dall'ultima finestra in alto a destra si affaccia Massimo nel film, pensando a nuove metafore.
  

La spiaggia della scena con Beatrice e di quella finale con il poeta. Massimo non arriverà mai qui per via del sentiero ripido e faticoso. Oggi la spiaggia si è notevolmente ridotta, mangiata dalla mareggiata.
  

Tante iniziative quest'estate a Salina per Massimo. In esclusiva abbiamo anche la foto risalente a questa primavera, in cui l'artista è ancora intenta a disegnare il bel murales davanti la chiesetta di Sant'Onofrio a Pollara. Il postino ora è sempre lì, a godersi il panorama del cratere sommerso di Pollara, poesia nella poesia della natura.
  


Ed eccolo ancora qui Massimo, in quest'immagine finale che mi è venuto spontaneo catturare. E' così, in mezzo ai ragazzi che giocano spensierati che mi piace vederlo oggi, con loro e per loro, esempio e amico come lo è per noi. Magari in attesa di alzarsi e chiedere, da un momento all'altro, di poter dare due calci al pallone anche lui.
  
 

martedì 5 agosto 2014

Massimo Troisi ricordato da Nanni Moretti

Oggi vi propongo un'intervista a Nanni Moretti che solo all'inizio parla, schiettamente, di Massimo Troisi. Riporto però anche il seguito che ci permette di respirare l'aria degli esordi di Massimo e un po' del pensiero di un autore-attore, che come lui, aveva e ha sempre qualcosa da dire di un certo spessore, con un suo stile degno di nota. Buona estate.

Cristiano

Massimo Troisi è morto il 4 giugno del 1994, venti anni fa esatti, all’età di 41 anni.
Alla fine del 2002 curai per il giornale un inserto che doveva servire a lanciare una iniziativa editoriale nuova. Con la Repubblica sarebbe uscita una collana di film italiani in Dvd. Tra i titoli previsti c’era anche Il Postino, l’ultimo film interpretato da Troisi. Questo inserto fu l’occasione per raccogliere, su Massimo Troisi, una testimonianza un po’ speciale. Quella di Nanni Moretti, solitamente così riluttante a parlare di film e colleghi italiani contemporanei. Ecco, di seguito, quell’intervista. La quale, per esplicita richiesta dell’intervistato (e non per sua imposizione come in tante altre circostanze), tenne fuori le espressioni di affetto e di commozione più personali, che Moretti preferì tenere per sé. E io ho rispettato il pudore dei suoi sentimenti.
Fu in ogni caso l’occasione per scoprire un legame di cui non sapevo nulla.

«Ho conosciuto Massimo Troisi una ventina d’anni fa attraverso l’attore Marco Messeri. Ci siamo frequentati per un breve periodo e abbiamo anche giocato dei doppi di tennis, noi due in coppia. Poi ci siamo persi di vista e ci siamo ritrovati solo un po’ prima che morisse. Ricordo che mentre io giravo Caro diario alle Eolie incontrai il regista Michael Radford che faceva i sopralluoghi per Il postino…».

Che fu girato subito dopo…
«Sì, Massimo è morto nel giugno ‘94 e il suo film non era ancora uscito, il mio era uscito nell’autunno ’93. Aveva girato a Salina dopo di me. Mi viene subito in mente di dire quello che Troisi non era: a differenza della maggioranza dei registi, di qualsiasi generazione e capacità, non era presuntuoso. Poi a differenza di altri comici non era una persona noiosa».

Agli inizi lei, Moretti, era molto diffidente verso gli accostamenti generazionali…

«I nuovi comici, già. Troisi aveva quasi la mia stessa età. Aveva qualche mese meno di Benigni che è della fine del ’52, e io che sono nato nell’estate del ’53 ho qualche mese meno di lui…»

  
…A lei non piaceva essere assimilato alla categoria comica. Con gli anni il suo sguardo è diventato più affettuoso?
«Ma non è che io non avessi affetto per i registi ai quali venivo associato. La mia insofferenza era per i giornalisti e le loro semplificazioni. Poi infatti si è visto che ognuno di noi ha preso la sua strada. Verdone, Troisi, Nuti, io, Benigni. Ero insofferente verso una formula che voleva racchiudere personalità diverse».

Si ha però l’impressione che il tempo l’abbia resa più amichevole verso i colleghi coetanei, allora come lei debuttanti.
«Il mio sentimento verso Troisi è stato sempre amichevole. Mi piaceva come attore e mi piaceva il suo non credersi diverso da quello che era. E un’altra cosa voglio dire. Che non si avvertiva nei suoi film, giustamente perché non è obbligatorio, ma credo che avesse anche una curiosità e degli interessi politici decisi».
 
Che teneva per sé?
«Che uno magari non sospettava vedendo i film o, a prima vista, anche dalla persona. Ma sicuramente non era un qualunquista, sia umanamente che come spettatore. Aveva i suoi gusti nei confronti dei colleghi anche se non gli andava di esibirli. Però li aveva: gusti, simpatie, affinità. Non era come me che amori e odi li ho messi nei film e nelle interviste».

Allarghiamo il discorso. La maturità ha cambiato i suoi gusti riguardo al cinema italiano, adesioni e ostilità?
«Scorrendo i titoli di questa vostra collana mi vengono in mente le varie epoche della mia vita di spettatore. Quella del Nuovo Olimpia quando vedevo i film di cinque, dieci o trent’anni prima. Poi l’epoca in cui vedevo i film che uscivano in quel momento, e infine quella in cui vedevo i film dei colleghi. "Roma città aperta" mi fa venire in mente la prima. Allora c’erano i cineclub e c’erano i cinema d’essai, il Nuovo Olimpia era il cinema d’essai storico di Roma, e lì la mia generazione ha conosciuto la storia del cinema. (Tra parentesi, ora noi al Nuovo Sacher montiamo "Il grande dittatore" e sono sicuro che un sacco di gente non l’ha mai visto al cinema o non l’ha mai visto proprio, sarà un’occasione per giovani e meno giovani). Poi è venuto il cinema dell’impegno, Rosi. E "Ultimo tango a Parigi", che ho visto il primo giorno, al cinema Quirinale: da pochi mesi avevo finito il liceo, era l’autunno ’72, trent’anni esatti. I miei cambiamenti da spettatore del cinema italiano? Sicuramente è rimasto il mio legame con il cinema d’autore degli anni 60, di prima del ‘68. Poi le affinità con alcuni registi. Tra i classici molti film di Fellini, come movimento il cinema d’autore anni 60 non solo italiano. Poi viene il buco degli anni 80 quando è entrato in crisi il cinema di confezione, anche se gli autori hanno continuato a fare bei film».

Parla da spettatore e da cinefilo. Ma come regista a chi si è ispirato?
«Si fa sempre la figura del megalomane a fare dichiarazioni su questo».

Agli inizi si sarà detto: vorrei somigliare a questo o quel regista?
«Io continuo a vedere molto cinema come spettatore, può capitare che inconsapevolmente fai tue certe atmosfere o certi toni. Io ho cominciato verso i 15 anni ad essere uno spettatore assiduo. Intorno al ‘68. Ho fatto poca politica e dopo, tra il ‘70 e il ‘72 durante gli ultimi anni di liceo. Nel ‘68 la mia giornata tipo era: scuola dove mi annoiavo, pomeriggio al Nuovo Olimpia, e sera al Foro Italico per gli allenamenti di pallanuoto. Non ho un’infanzia tipo Truffaut che andava a rubare le locandine nei cinema. O come quelli che la mamma li portava tutti i pomeriggi a vedere due film, no. Dopo la fine del liceo ho cominciato a fare dei filmini, e mi prendevano per matto perché mi piacevano due modi di fare cinema opposti: i Taviani e Carmelo Bene, che stilisticamente non potevano essere più lontani: "San Michele aveva un gallo" e "Nostra signora dei turchi". Può darsi, dopo aver macinato e digerito tanti film, che poi certe scene riaffiorino nei miei film, non casualmente ma involontariamente. In "Ecce Bombo" a un certo punto siamo in un bar e un cliente dice “rossi e neri sono tutti uguali”, io mi metto a urlare “ma che siamo in un film di Alberto Sordi?” e mi cacciano dal bar. I critici ravvisarono l’analogia con una scena di Sovversivi di Paolo e Vittorio Taviani dove Lucio Dalla viene cacciato da un bar. Un film che amavo molto e ho visto tante volte, ma la mia non era una citazione: non mi rendevo conto. Parentesi a proposito di “rossi e neri sono tutti uguali”. Nel ‘94 sono andato a Milano a riprendere la manifestazione del 25 aprile inquadrando solamente ombrelli perché pioveva a dirotto, eravamo un mese dopo la prima vittoria di Berlusconi e cominciavano quei discorsi sui caduti da una parte e dall’altra, "Il manifesto" ebbe l’idea di promuovere questa manifestazione che venne vissuta a sinistra come una specie di rivincita. Non sapevo che quelle riprese sarebbero poi finite dentro un mio film, "Aprile", quattro anni dopo. C’era uno striscione, che ho filmato ma non montato perché sarebbe stata un’autocitazione troppo vanitosa, che molti anni dopo Ecce Bombo diceva “rossi e neri sono tutti uguali: ma che siamo in un film di Alberto Sordi?”».

Insomma, tra dare e ricevere, le idee circolano.
«…Ecce Bombo uscì l’8 marzo del ‘78, tra poco saranno 25 anni, una settimana prima del rapimento Moro, e il cinema dove uscì ora non c’è più. Ma non ci lamentiamo, oggi gli schermi sono molti più di allora».

Altre citazioni involontarie?
«Un giorno incontrai Lou Castel che senza preamboli, come se tutto fosse sottinteso, mi disse che la mia crisi isterica sul pavimento di un androne in Sogni d’oro secondo lui citava il suo personaggio dei Pugni in tasca».

Si direbbe anche che il tempo abbia ammorbidito la sua ostilità verso la commedia italiana. A proposito: era così o è stata gonfiata?
«Ce l’avevo con il personaggio di Sordi e non con l’attore. Mi prendo tutta la responsabilità, so che era una scena forte: anche nelle platee più disponibili verso di me, durante quella scena si creava un gelo pazzesco. Però a me piaceva moltissimo il Sordi attore soprattutto degli anni 50 e 60, come attore comico ha inventato tantissimo. La commedia: stiamo parlando di un periodo, quello dei miei inizi, fine anni 70, in cui la migliore stagione della commedia italiana si era già spenta. E io ero insofferente soprattutto verso i film che vedevo uscire in quel periodo, ma se andiamo indietro ci sono dei film, anche minori, che mi piacevano e mi piacciono moltissimo: come "Il segno di Venere" di Dino Risi, con un cast eccezionale, Sordi e Peppino tra i tanti. Curioso è casomai che giornalisti e critici considerino e chiamino “maestri”, solo oggi, registi che i loro migliori film li hanno fatti negli anni 50 e 60».

I suoi rapporti personali con i maestri o con i registi più “grandi”?
«In realtà prima dei primi tre superotto, me lo sono ricordato in occasione di una cena per i trent’anni dall’esame di maturità, avevo già fatto un filmino in 8 mm con un mio compagno di classe che poi è diventato frate domenicano…».

Sarebbe la sua vera opera prima…
«Già, fine ‘72. Me l’ha ricordato l’ex compagno frate alla cena. Ecco, a quell’epoca io cominciavo ad andare in giro, dando sicuramente l’impressione di essere velleitario e confuso, a chiedere di fare sia l’assistente alla regia sia l’attore. Probabilmente darebbe a me oggi la stessa impressione chi mi venisse a chiedere di fare entrambe le cose, mi rendo conto che ero quantomeno goffo. Provai con Peter Del Monte, che aveva assistito a un mio famoso “stronzi!” quando a Ischia premiarono come miglior esordiente non me ma un altro…».

Chi?
«Era Giorgio Ferrara, fratello di Giuliano. Poi ho provato con i Taviani e con Maurizio Ponzi. Tutte persone conosciute per caso. I miei genitori erano insegnanti, non conoscevo nessuno dell’ambiente. Come unica referenza avevo il piccolo boom di "Io sono un autarchico" in un cineclub romano, il Filmstudio. Lei diceva “ammorbidito”… A me piacerebbe vedere un bel cinema di confezione, come spettatore non sono per niente contro e non lo sono mai stato. Ci sono tanti brutti film “d’autore”. All’opposto, però, un film come "Victor Victoria", tanto per fare un esempio, in Italia chi è che lo sa fare? Ci sono registi, sceneggiatori e soprattutto produttori che sono contro il cinema d’autore. E va bene, ma chiedo loro: dov’è il Victor Victoria italiano? Le polemiche degli anni passati sul cinema italiano erano fatte di luoghi comuni e frasi fatte, trite e ritrite. Due camere e cucina, dicevano, oppure ombelicale. Ma dov’era invece il buon cinema di confezione negli stessi anni 80 e 90? Ci sono stati tanti brutti film, sì, ma il problema principale dell’industria cinematografica italiana non sono stati i film “troppo personali”: Chi ha dato loro la colpa di tutti i guai, che cosa ha combinato? Che cosa hanno fatto di “industriale”, e per gli spettatori, in questi ultimi vent’anni? E sono tanti, si possono fare duemila film in vent’anni».

Il Moretti imprenditore, oggi, come vede il pregiudizio negativo del pubblico verso i film italiani? E’ diminuito?
«Negli ultimi anni sì, ma sempre in modo episodico. Leggo qui sulla vostra lista anche Pane e tulipani. Lì è stato il pubblico che fin dai primi giorni ha deciso che voleva vederlo e che gli piaceva molto. Ci sono persone in questo ambiente che vorrebbero ricette e sicurezze: io dico ancora – come spettatore, regista, esercente e produttore – che per fortuna non ci sono. Ma è certo, a proposito del film di Soldini uscito all’inizio del 2000, che è stato un successo quello che solo un paio di stagioni prima non lo sarebbe stato».

Conoscerà anche lei gente, né registi né giornalisti ma spettatori, che diffidava e diffida dei film italiani in quanto italiani.
«Purtroppo anche un sacco di gente di cinema, li conosco bene. E poi, purtroppo, a diffidare è proprio il pubblico del cinema di qualità, quello che vent’anni fa cominciava ad essere “educato” dai listini dell’Academy e poi da quelli di Mikado e Bim, proprio quel pubblico che sceglie i film e non si fa influenzare dalla pubblicità e va al cinema non due o tre volte l’anno ma molto di più, proprio questo pubblico fino a due o tre anni fa aveva un pregiudizio negativo profondamente radicato nei confronti del cinema italiano. In parte giustificato in parte no. Qui si tratta, anche con l’aiuto della televisione e di programmi di informazione sul cinema che non ci sono, di ridare smalto al cinema. Che, come uno spettatore francese sa bene, è contemporaneamente mezzo espressivo e industria. E invece i giornali, più vittime che protagonisti, fanno il contrario: polemiche inventate, interviste già lette altre cento volte. E poi, lo dico con più libertà dopo che durante, la mancanza di uno come Veltroni, quando era ministro della cultura c’era la persona giusta nel ruolo giusto. E’ vero che ora il pregiudizio è un po’ meno forte, ma i progressi li hanno realizzati da soli gli spettatori da una parte e i registi dall’altra, mentre tutto il clima intorno…».

Cioè l’informazione.
«L’informazione, la televisione, le premiazioni, l’aver allontanato Barbera dalla Mostra del cinema. Tutti segnali molto negativi. E non si tratta di sinistra e destra, in passato ci sono stati direttori di sinistra a Venezia che a mio parere non hanno fatto un buon lavoro, Barbera è soprattutto un ottimo professionista e averlo allontanato ha appannato in pochi mesi un immagine ritrovata della Biennale. Per questo dico che se le cose sono un po’ migliorate si deve solo al reciproco essersi cercati, film italiani e pubblico italiano e viceversa, malgrado un clima che dopo qualche segnale positivo è tornato indietro. Io nel mio piccolo ho fatto qualcosa, ho prodotto tre esordi di cui vado orgoglioso: Mazzacurati, Luchetti, Calopresti. Non so quanti produttori negli ultimi 15 anni, molto più grandi di noi, hanno fatto esordire tre registi diventati poi tra i più importanti del nostro cinema. Noi, minuscoli, possiamo vantare questo bilancio. Fior di produzioni, molto più grandi di noi, che cosa hanno fatto?».

Senza togliere proprio nulla a Mazzacurati, Luchetti, Calopresti, lei sa bene che il grande peso specifico di tutte le iniziative Sacher dipende molto dal fatto che lei rappresenta una bandiera.
«Ma i film li hanno fatti loro. E ora sono tre dei maggiori registi del cinema italiano. E prima del mio prossimo film voglio ancora produrre delle opere prime, una o due. In questo senso stiamo lavorando, Angelo Barbagallo ed io, e non da poco tempo».

Il concorso per soggetti che Sacher ha bandito farà da vivaio?

«Anche. Ma già da un paio d’anni abbiamo sviluppato dei progetti. Un processo piuttosto anomalo: di solito sono gli aspiranti registi che inseguono i produttori per anni. In questo caso succede il contrario».

E’ lei, produttore, che cerca talenti?
«Persone che non mi hanno chiesto nulla, sono io a offrire loro di esordire. Ma tra le nostre iniziative voglio anche citare le rassegne estive con dibattito all’Arena Sacher. “Viva l’Italia”, nel 2000. Il senso era: volete parlare male del cinema italiano? Va bene, ma prima almeno vedetelo. Poi quest’anno “Bimbi belli”, dedicata agli esordi. Due estati fa in arena c’erano tante persone che per via di quel pregiudizio non avevano visto film che poi invece sono piaciuti».

Dimentica la ragione principale: perché era lei a patrocinare l’iniziativa.
«Ma i film, poi, se piacevano non piacevano per questa ragione. E c’erano film che non solo quel pubblico non aveva mai visto ma che aveva voluto non vedere. Quando poi li hanno visti e sono piaciuti, mica è successo perché c’ero io…».

Quello spettatore “colto” che lei prima descriveva è parte decisiva del pubblico che ha fatto la fortuna del suo Nuovo Sacher a Roma. Un pubblico un po’ snob…
«E se coltivano un pregiudizio loro, figuriamoci gli altri…».

Paolo D'Agostini
 

lunedì 4 agosto 2014

Renato Scarpa e il nostro Giuseppe Sommario incantano Somma Vesuviana con "L'arte della leggerezza" di Massimo Troisi

Divertimento ma non soltanto questo, conoscenza ma non soltanto questo, emozioni ma non soltanto questo, un turbinio di sensazioni quelle che ha saputo regalare la serata in cui si è presentato a Somma Vesuviana, nel suggestivo borgo Casamale, il libro “Massimo Troisi. L’arte delle leggerezza” di Giuseppe Sommario.

A brani del saggio, letti con maestria dagli attori Daniela Allocca e Alfonso Volpe, si sono alternati il clarinetto e il piano di Raffaele Magrone e Rosanna Cimmino, che con le colonne sonore più belle dei film di Troisi hanno trasportato le tantissime persone presenti nel mondo sognante e profondo dell’autore sangiorgese. Interessante l’intervista all’autore da parte di Valeria Ciarambino che ha toccato i giusti tasti per riuscire, in poco meno di due ore, a far capire quanto lavoro ci sia nel libro di Sommario e come questo scritto possa essere considerato senza tempo. L’ironia dell’autore ha aiutato a comprendere la leggerezza di Troisi. Le sue battute sulla serata, sul luogo scelto per la presentazione, su Somma e sugli ospiti che erano presenti sulla terrazza della Arci hanno strappato più di un sorriso ed un applauso. A fare da contorno gli spezzoni, scelti anche quelli con maestria, delle pellicole di Troisi o delle sue gag con lo storico trio “La Smorfia”. E poi in chiusura il ricordo sincero e commovente dell’attore Renato Scarpa che con Troisi lavorò sia in “Ricomincio da tre” che ne “Il Postino”.

Tra i presenti anche il sindaco Pasquale Piccolo: “Per noi è importante promuovere la cultura, qui stasera ci sono tanti giovani e abbiamo scoperto che ci sono numerose associazioni che lavorano in questo campo, vogliamo interfacciarsi con loro che sono una risorsa per il paese. Un augurio che faccio a voi e me, che presto una serata come questa possa ripetersi per promuovere la nostra città”.
“Questo libro è nato dieci anni fa e la mia massima aspirazione era presentarlo qui a Somma Vesuviana sulla terrazza dell’Arci”, ha raccontato con ironia Sommario, spiegando nei dettagli come da un’amica comune sia arrivato a Pomigliano, e poi fino a Somma dove ha conosciuto la sua compagna di vita e che questo, infine, lo abbia portato all’Arci. Un modo di narrare leggero e divertente che ha coinvolto subito le persone presenti. “Il libro è la mia tesi di laurea”, ha aggiunto, “Un giorno al cinema del mio paese vidi due film, 'Rambo' e 'Pensavo fosse amore e invece era un calesse', capii subito che non potevo essere Stallone e allora mi sono informato sull’autore e quando mi sono iscritto all’università, Lettere a Roma con indirizzo cinematografico, mi è sembrato normale chiedere una tesi su Troisi. Allora mi stupivo e mi arrabbiavo perchè non capivo come su un autore così amato e noto nessuno avesse fatto un libro, poi ce ne sono stati tanti”.
A sottolineare il legame di Somma con Troisi lo storico Ciro Raia: “Credo che nella vita ci siano coincidenze che ritornano, Somma è stata, dopo San Giorgio a Cremano la città che ha saputo in tempo reale della morte di Troisi. Era il 4 giugno 1994, eravamo a Santa Maria del Pozzo e stavamo consegnando la cittadinanza onoraria a Gerardo Marotta, tra il pubblico c’era Aldo Vella, allora sindaco di san Giorgio, lo vidi allontanarsi e fu lui a comunicarmi della morte dell’attore, fu per tutti un momento di grande commozione e ricordarlo qui dopo 20 anni lo è nuovamente. Qui a ricordare un personaggio atopico, come dice Sommario, un personaggio che non ha luogo. Questo di Sommario è un saggio di grande profondità, di quelli che restano in una biblioteca e che si riapre quando si vuole approfondire un personaggio, le sue teorie. Un lavoro approfondito, sulle battute dei suoi film, analisi del testo e del linguaggio di Troisi. Un testo da possedere e conservare”.

E’ stato proprio l’autore a spiegare il termine leggerezza che è nel titolo del suo libro. Un esempio i suoi film, nel finale di ‘Ricomincio da tre’ affronta un tema pesante: la sua donna aspetta un figlio e non sa se è suo oppure no e lui riesce ad uscire da quella situazione dicendo ‘non chiamiamolo Massimiliano, verrà fuori scostumato’. La sua malattia ci ha consegnato un grande attore, avrebbe voluto fare il calciatore, storiche le sue interviste con Gianni Minà a riguardo e invece cominciò a frequentare un oratorio e il teatro. Fu raggiunto da grande successo e rimase sempre semplice, il suo primo film al cinema ‘Gioiello’ di Roma fu proiettato per 600 giorni fu lui stesso a dire si erano stancati anche i residenti di vedere la mia faccia sui manifesti. Il secondo film fu molto intimista perchè dopo il boom del primo tutti gli chiedevano di tutto e lui era un timido. Lo ritroviamo nei suoi personaggi, nel linguaggio. Pensiamo ad uno dei suoi film, quello che ha il titolo secondo me più bello ‘Pensavo fosse amore ed invece era un calesse’, il calesse è un mezzo che ti permette di andare più veloce che se andassi a piedi, ma non troppo veloce. Inoltre, si può partire da soli e magari per strada accogliere qualcuno, un mezzo di trasporto che ti predispone ad accogliere l’altro”.

Altro momento profondo della serata l’intervento di Renato Scarpa.
“Troisi era speciale, un uomo essenziale come dovremmo esserlo tutti”, ha raccontato Scarpa, “Incontrandolo capivi che era un uomo diretto, semplice, noi ci mettiamo addosso incrostazioni che poi dobbiamo toglierci. Lui invece aveva grazia e leggerezza, apparteneva al suo specialissimo iter di vita. Non aveva barocchismi sull’anima. Ho incontrato Massimo dopo aver lavorato con Verdone, io li ho tenuti tutti a battesimo: Verdone, Troisi, Nuti, e al primo incontro ha capito che potevo fare il pirla. (Scarpa sarà il Robertino celebre del film Ricomincio da tre, ndr). Ho preso molto dalla mia biografia personale, sono figlio unico di madre vedova e orfano di guerra. Ho aperto gli occhi sulla guerra, tanto che il mio primo ricordo di vita è un bombardamento. Mio padre è morto a 28 anni e io allora chiedevo a mia madre perchè gli uomini sono così stupidi da uccidersi prima quando tutti dobbiamo morire. Quindi anch’io ero così borderline. “Che senso ha”, mi chiamavano a scuola, se non c’era un senso non mi muovevo. Quando ho conosciuto Massimo mi sono perdutamente innamorato di lui per il suo sguardo così diretto. Una stima assoluta, ci siamo intesi immediatamente. Con quel suo primo film, mi sono sentito popolare con il successo di Ricomincio da tre, ero diventato un deficiente popolare”.

Tanti i giovani presenti, rimasti attenti e coinvolti per tutta la serata. “E’ stato suggestivo assistere sotto le stelle ad un alternarsi di musica, cultura ed ironia”, commenta Federica Sodano, componente dell’associazione “Fontana Chiara”, “Un ringraziamento speciale va all’autore del libro Giuseppe Sommario che con la sua iniziativa ha permesso di ricordare a noi tutti quanto sia viva ed attuale l’arte della leggerezza propria di Massimo Troisi”. Come ha scritto nel suo libro l’autore: “Beh si s’accuminza a fa’ ‘na tesi e’ laurea su di me vuol dire proprio ca 'a scola e’ scisa abbascio”. No caro Giuseppe, se avessimo avuto la possibilità di analizzare la sua persona, il suo teatro e la sua filosofia di vita a questo punto non dovremmo ricominciare da zero ma dovremmo ricominciare da TR…..OISI”.
Una serata che si è chiusa tra gli applausi e i complimenti all’autore, il cui libro è andato a ruba.

FONTE: La Provincia On Line 
  

lunedì 28 luglio 2014

Lettera di Rosaria Troisi a suo fratello: "Il tuo cuore continua a battere"

A vent'anni dalla morte di Massimo Troisi, la sorella Rosaria lo ricorda con una toccante lettera. Quando tutto sembrava finito, tutto è cominciato. Rosaria ancora oggi incontra i ragazzi nelle scuole e gli racconta la storia di quel "timido ragazzo di provincia che non si è mai arreso. Non si è ancora affievolito l’affetto di coloro che si sono emozionati con i suoi film e che ne hanno sempre apprezzato la semplicità. Di seguito il testo della lettera, pubblicata da Corriere.it.


Caro Massimo, a vent’anni dalla tua furtiva partenza sono in molti ad averti ricordato e anch’io ricorro al piacere dell’antica e cara lettera nella speranza che sappia raggiungerti.

Dove sei? Ti sei allontanato che indossavi ancora una divisa grigia di tela grezza e una logora tracolla di cuoio che ti pendeva dalle spalle visibilmente stanche. Fino a poche ore prima eri stato il postino di Neruda, e con occhi incantati e mani tremanti avevi recapitato posta profumata di mare al maestro cileno, in quell’isola che odorava di malvasia in ogni casa e in ogni contrada.

Poi, all’improvviso, come in un gioco di prestigio, da portalettere ti sei ritrovato destinatario, sommerso da cartoline, biglietti di fortuna, pupazzi e fiori, rosari, santini. E noi qui, testimoni attoniti del tuo lascito, circondati da quella strana bellezza che fioriva da tanto dolore.

È vero, Massimo, fummo colti di sorpresa. Volevi essere attore di successo a modo tuo, tornare a casa per ritrovare quello che avevi lasciato, senza cambiare nemmeno te stesso. Eppure qualcosa si era mosso senza che tu avessi potuto controllarlo, e neppure tu avevi l’esatta percezione di quello che eri diventato. Al termine delle riprese del tuo ultimo lavoro, salutando i colleghi e le maestranze durante il brindisi, alzasti il bicchiere dicendo: «Ricordatevi di me»; una raccomandazione inutile, eri già entrato nel cuore di tutti.

Ricordo il giorno del tuo funerale. Era una domenica all’imbrunire. Già dalle prime ore del pomeriggio all’uscita del casello autostradale di San Giorgio una folla traboccante e commossa sostava in attesa del tuo rientro da Roma e sui bordi della strada si erano formate due ali di gente ammutolita che applaudiva. Uomini e donne, vecchi, bambini, e tanti, tantissimi giovani ti accolsero come un fiero condottiero ritornato vincitore. Ti accompagnarono con tenerezza in quel pezzo di terra sacra all’ombra della montagna viola e ti diedero l’ultimo saluto.

Sembrava che tutto fosse finito, e invece tutto cominciava. Il giorno dopo, quando venimmo a trovarti, sulla lapide disadorna, tra i fiori già appassiti da quel flebile scirocco di inizio estate, trovammo la lettera di Ciro. E poi... tante altre ne arrivarono ancora. All’inizio mi sembrava che queste lettere amplificassero in me la tua assenza. Ma questi venti anni non sono trascorsi invano, Massimì, e con il tempo ho imparato a sentirti accanto a me. Questa consapevolezza mi ha dato un nuovo slancio. Ho smesso di confinarti nel passato e ho trovato la forza di portarti con me nel futuro, quello che vivo io stessa, passo dopo passo, tra le nuove generazioni.

Nelle scuole, incontro ragazzi che non erano nemmeno nati quando te ne sei andato. Gli racconto la tua storia, la storia di un timido ragazzo di provincia che non si è mai arreso di fronte alle difficoltà della sorte. E che alla fine ha vinto a dispetto di tutto. Loro sono già troppo grandi per credere alle favole, ma quando nel loro sguardo vedo accendersi un bagliore capisco che alla tua storia però ci stanno credendo, e che ai loro occhi riesci a incarnare un simbolo di speranza vera, come sei stato vero tu.

Il battito del tuo cuore è cessato secondo una cartella clinica, eppure io so che ci sei. E, se quando incontro la gente, mi pare di sentirla abbracciarmi per arrivare a te, se in tanti non smettono di ridere per quelle tue battute che ancora ricordano a memoria, capisco che il posto in cui possiamo ritrovarti è proprio nei nostri cuori. Di questi tempi, se sono sempre meno quelli disposti a fare posto a qualcuno nel loro cuore, sono davvero pochi gli uomini di spettacolo che riescono a entrare nel cuore della gente.

Ma la tua forza è stata quella di rimanere Massimo sempre, e per tutti.

Riesci a vederla ora la tua grandezza? Il tuo cuore malandato ha potuto finalmente trovare vigore e continua a battere, infondendo coraggio in altri cuori.

Ciao ragazzo, ti vogliamo bene!

tua sorella Rosaria 
  

mercoledì 16 luglio 2014

Giancarlo Giannini omaggia Massimo Troisi a Giffoni

Inaugura la stagione 2014 del teatro all'aperto di Giffoni Valle Piana (Salerno) Federico Salvatore, poliedrico e carismatico artista partenopeo che, a distanza di due anni, torna sabato 2 agosto con “…E noi zitti sotto”, il suo nuovo spettacolo teatrale in lingua napoletana. E se lui si lascia ispirare nel titolo dalla celebre citazione di Massimo Troisi nel film “Non ci resta che piangere”, in occasione del ventennale della scomparsa del grande attore e regista, Giffoni Teatro prosegue martedì 5 con un’anteprima assoluta: “Cosa ne penso della Svizzera”, il recital commemorativo scritto da Gian Paolo Mai e interpretato da Giancarlo Giannini. Composizioni musicali e contributi video, tracciano un un sentiero su cui verrà ripercorsa non solo la sua carriera artistica, dai primi passi della Smorfia ai grandi successi cinematografici, ma anche momenti personali per aiutare lo spettatore a comprendere ancor meglio il carattere e l’ironia che aveva nella vita privata. Il tutto sarà arricchito da contributi video inediti e mai trasmessi, in esclusiva mondiale assoluta, concessi e montati dal regista Stefano Veneruso, nipote di Troisi.
 
Inaugura la stagione 2014 Federico Salvatore, poliedrico e carismatico artista partenopeo che, a distanza di due anni, torna a Giffoni sabato 2 agosto con “…E noi zitti sotto”, il suo nuovo spettacolo teatrale in lingua napoletana. E se lui si lascia ispirare nel titolo dalla celebre citazione di Massimo Troisi nel film “Non ci resta che piangere”, in occasione del ventennale della scomparsa del grande attore e regista, Giffoni Teatro prosegue martedì 5 con un’anteprima assoluta: “Cosa ne penso della Svizzera”, il recital commemorativo scritto da Gian Paolo Mai e interpretato da Giancarlo Giannini. Composizioni musicali e contributi video, tracciano un un sentiero su cui verrà ripercorsa non solo la sua carriera artistica, dai primi passi della Smorfia ai grandi successi cinematografici, ma anche momenti personali per aiutare lo spettatore a comprendere ancor meglio il carattere e l’ironia che aveva nella vita privata. Il tutto sarà arricchito da contributi video inediti e mai trasmessi, in esclusiva mondiale assoluta, concessi e montati dal regista Stefano Veneruso, nipote di Troisi. - See more at: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/#sthash.3gJ6Swtu.dpuf

Leggi su AgoPress.info: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/
Inaugura la stagione 2014 Federico Salvatore, poliedrico e carismatico artista partenopeo che, a distanza di due anni, torna a Giffoni sabato 2 agosto con “…E noi zitti sotto”, il suo nuovo spettacolo teatrale in lingua napoletana. E se lui si lascia ispirare nel titolo dalla celebre citazione di Massimo Troisi nel film “Non ci resta che piangere”, in occasione del ventennale della scomparsa del grande attore e regista, Giffoni Teatro prosegue martedì 5 con un’anteprima assoluta: “Cosa ne penso della Svizzera”, il recital commemorativo scritto da Gian Paolo Mai e interpretato da Giancarlo Giannini. Composizioni musicali e contributi video, tracciano un un sentiero su cui verrà ripercorsa non solo la sua carriera artistica, dai primi passi della Smorfia ai grandi successi cinematografici, ma anche momenti personali per aiutare lo spettatore a comprendere ancor meglio il carattere e l’ironia che aveva nella vita privata. Il tutto sarà arricchito da contributi video inediti e mai trasmessi, in esclusiva mondiale assoluta, concessi e montati dal regista Stefano Veneruso, nipote di Troisi. - See more at: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/#sthash.3gJ6Swtu.dpuf

Leggi su AgoPress.info: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/
Inaugura la stagione 2014 Federico Salvatore, poliedrico e carismatico artista partenopeo che, a distanza di due anni, torna a Giffoni sabato 2 agosto con “…E noi zitti sotto”, il suo nuovo spettacolo teatrale in lingua napoletana. E se lui si lascia ispirare nel titolo dalla celebre citazione di Massimo Troisi nel film “Non ci resta che piangere”, in occasione del ventennale della scomparsa del grande attore e regista, Giffoni Teatro prosegue martedì 5 con un’anteprima assoluta: “Cosa ne penso della Svizzera”, il recital commemorativo scritto da Gian Paolo Mai e interpretato da Giancarlo Giannini. Composizioni musicali e contributi video, tracciano un un sentiero su cui verrà ripercorsa non solo la sua carriera artistica, dai primi passi della Smorfia ai grandi successi cinematografici, ma anche momenti personali per aiutare lo spettatore a comprendere ancor meglio il carattere e l’ironia che aveva nella vita privata. Il tutto sarà arricchito da contributi video inediti e mai trasmessi, in esclusiva mondiale assoluta, concessi e montati dal regista Stefano Veneruso, nipote di Troisi. - See more at: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/#sthash.3gJ6Swtu.dpuf

Leggi su AgoPress.info: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/
Inaugura la stagione 2014 Federico Salvatore, poliedrico e carismatico artista partenopeo che, a distanza di due anni, torna a Giffoni sabato 2 agosto con “…E noi zitti sotto”, il suo nuovo spettacolo teatrale in lingua napoletana. E se lui si lascia ispirare nel titolo dalla celebre citazione di Massimo Troisi nel film “Non ci resta che piangere”, in occasione del ventennale della scomparsa del grande attore e regista, Giffoni Teatro prosegue martedì 5 con un’anteprima assoluta: “Cosa ne penso della Svizzera”, il recital commemorativo scritto da Gian Paolo Mai e interpretato da Giancarlo Giannini. Composizioni musicali e contributi video, tracciano un un sentiero su cui verrà ripercorsa non solo la sua carriera artistica, dai primi passi della Smorfia ai grandi successi cinematografici, ma anche momenti personali per aiutare lo spettatore a comprendere ancor meglio il carattere e l’ironia che aveva nella vita privata. Il tutto sarà arricchito da contributi video inediti e mai trasmessi, in esclusiva mondiale assoluta, concessi e montati dal regista Stefano Veneruso, nipote di Troisi. - See more at: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/#sthash.3gJ6Swtu.dpuf

Leggi su AgoPress.info: http://www.agopress.info/giffoni-teatro-omaggio-di-giannini-a-massimo-troisi/27740/

sabato 12 luglio 2014

Massimo Troisi: papà, ma tu l’hai conosciuto?

A lui piace, però solo quando è lui a deciderlo, camminare per le strade di Roma tenendomi la mano.
“Papà, ma tu l’hai conosciuto Massimo Troisi?”
No, Luca, che mi fai sempre mille domande che mi legano a te ogni giorno di più, Massimo Troisi l’ho visto di persona una sola volta, di sera tardi, fuori dalla stazione Piramide a Roma. Era lì che aspettava qualcuno. Lo guardai insistentemente, ma per la mia timidezza patologica non ebbi il coraggio di avvicinarmi a lui. Perché poi dovevo farlo? Io ero ancora un semplice studente del Centro Sperimentale di Cinematografia. Lui aveva già fatto quel film, Ricomincio da tre, che per noi che volevamo fare cinema era stata una botta di speranza: un piccolo film che diventò grande nel tempo infinito in cui rimase in sala, decretando la nascita di un grande attore e di un nuovo regista. Avvicinarmi sarebbe stato un dare fastidio a una persona che era lì, a vivere la sua vita tra la gente, meritando di essere lasciato in pace.

Io ho fatto il liceo guardando i film di Godard in un cineclub di Trastevere che adesso non c’è più, ho preso la maturità con Ecce Bombo di Nanni Moretti, sono diventato adulto con Ricomincio da tre. In fondo roba semplice. Le pippe mentali, i voli pindarici, le rocambolesche elucubrazioni su piani, tagli e inquadrature,  la storia del cinema, insomma, sono venuti dopo, con calma. Per cui Luca, se tu oggi mi chiedi di Massimo Troisi, a me si riempiono gli occhi di lacrime, anche dopo vent’anni che è morto, anche se non l’ho conosciuto. Perché è difficile pensare di non aver conosciuto una persona che ti ha accompagnato con i suoi film per tanti anni. Un attore che ha trasformato la napoletanità rumorosa nella semplicità di un ragazzo timido che parla a bassa voce, mangiandosi le parole nella lingua più bella del mondo. I capelli ricci, il volto scavato, l’andatura incerta, lo sguardo tenero. E il sorriso malinconico. Io me li sono portati dentro dal primo fotogramma del suo primo film fino ad oggi.

Massimo Troisi, l’unica persona insieme a Maradona che a Napoli non si discute. È e basta.
Massimo Troisi che tanto ha fatto ridere. Ma che ha scelto come suo ultimo film Il postino, che commosse il mondo.

Massimo Troisi che seppe onorare il teatro della tradizione e lo rese un qualcosa alla portata di tutti.
Massimo Troisi che morì addormentandosi nel riposo di un caldo pomeriggio di giugno.
Vedi Luca, fare cinema in fondo è un gioco per adulti. Pochi giorni prima della morte, Troisi girava alcune sequenze del Postino a Cinecittà. Io ero qualche teatro più in là, a girare un film di Felice Farina. Con Andrea, che lavorava con me, appunto ci sembrava di giocare. E a pausa mangiavamo gelati in quantità. Me lo ricordo quel lunedì seguente il sabato in cui Massimo Troisi morì. Quel lunedì io e Andrea non giocammo, neanche a pausa. Ci guardammo negli occhi. E piangemmo. Perché, Luca, si può piangere anche per la morte di una persona che non hai conosciuto. E saper accettare di voler piangere, questo ricordatelo, anzi scrivitelo così te lo ricordi meglio, serve. Sempre.

Gianluca Arcopinto

Fonte: Il fatto quotidiano
 

mercoledì 9 luglio 2014

Massimo Troisi e quel cuore rumoroso: il ricordo di Anna Mazzotti

I giochi, le feste, i semi di pomodoro, la malattia, il sosia americano: a vent'anni dalla morte, il ricordo dell'attore. E di una vacanza speciale passata assieme a lui

«Massimo, ma che orologio hai, una cipolla da tasca?». «No, non è l'orologio, è il mio cuore».

Era notte. Nella penombra del soggiorno dove ci eravamo incontrati vagando alla ricerca di un rimedio all'insonnia, percepivo, amplificato dall'assoluto silenzio della stanza, un leggero ticchettio del quale però, guardandomi intorno, non riuscivo a capire la provenienza. Fu così che Massimo Troisi, con il suo tono scanzonato e un po' esitante da ragazzo timido, mi rivelò di avere problemi cardiaci. Anzi, che li aveva avuti, ma sembrava che tutto fosse risolto. E guardandolo era difficile pensare il contrario.
Quella notte a Porto Rafael (Costa Smeralda), nella casa di vacanza del nostro comune amico Vittorio Zeviani (che ogni estate ospitava molti amici, per lo più del mondo dello spettacolo e della moda), in quella sorta di noboby's land, o di spazio delle confidenze che si crea tra insonni, Massimo mi raccontò di come, quand'era ragazzo, si era accorto che il suo cuore non funzionava bene; in seguito aveva subito un intervento a Houston dove, grazie a una valvola, gli avevano salvato la vita. Se era preoccupato, se sentiva che la sua vita fosse a rischio, non lo dava a vedere, al contrario, anche quel racconto, fatto con il suo consueto tono leggero, comico anche in un contesto drammatico, con quell'ironia che lo aiutava a minimizzare il disagio proprio o altrui, mi aveva tolto dall'imbarazzo della mia domanda e fatto sorridere nonostante quei ricordi non proprio felici.

Quella notte assieme alle sue parole ho ascoltato anche il suo cuore, che parlava, attraverso quel monocorde ticchettio, un linguaggio rassicurante. Me la ricordo bene quella voce da orologio a cipolla che usciva dal suo petto attraverso le labbra cucite della cicatrice, una scansione del fluire del tempo che allora, ingannevolmente, sembrava non dovesse aver fine, ma che in realtà gli annunciava che la sua vita sarebbe durata soltanto una manciata di anni. Però allora il pensiero non ci sfiorò la mente, e infine, tra confidenze e infinite battute, crollammo addormentati.
Sono trascorsi vent'anni da quando il ticchettio del tempo, e del suo cuore, si è fermato. Ed è ancora difficile accettarlo.

Com'era Massimo? Speciale in ogni momento, più di quanto, chi non l'ha conosciuto, possa immaginare. Forse la sua grande popolarità, immutata anche tanti anni dopo la sua scomparsa, è dovuta al fatto che quando recitava lui rimaneva sempre se stesso, o anche perché oggi, più che mai, risuona l'assenza della sua voce in tempi di vuoto assordante. Lui dominava la scena anche quando se ne stava in disparte, in silenzio, limitandosi a osservare, o a guardare di sottecchi, con quello sguardo misto tra curiosità, candore e divertimento. Con Massimo sembrava sempre di trovarsi nella scena di un suo film, e infatti, inevitabilmente, arrivava un suo commento, sempre leggero ma lapidario, o una battuta folgorante che oltre a far riflettere scatenava una risata (nostra) e un lieve sorriso (suo).

Era un uomo, anzi, un eterno ragazzo, intelligente, profondo, sensibile, malinconico, dotato di quel guizzo di fantasia e d'intuizione che contraddistingue il vero talento; ed era anche semplice, nonostante il successo, umile e quasi inconsapevole del suo valore, come accade solo ai migliori: una personalità complessa, la sua, non subito decifrabile, ma che traspariva da quel bozzolo di ironia e di indolenza con la quale si avvolgeva per proteggersi dal mondo.

Massimo era gentile, ma molto riservato. Non che non gli piacesse la gente (però detestava gli ipocriti) ma essere sempre riconosciuto e sommerso di complimenti lo imbarazzava. Gli piaceva starsene appartato, tra amici, in casa o in barca (Vittorio metteva a disposizione dei suoi ospiti un'imbarcazione a vela). Non amava uscire a cena e ancor meno frequentare la mondanità della Costa Smeralda: una sera, dopo molte insistenze andammo a una festa, e la padrona di casa (oggi diventata una nota e battagliera politica), pur di riuscire a farlo partecipare invitò tutto il gruppo (eravamo almeno una dozzina): lui però era a disagio, non vedeva l'ora di andarsene. Quando usciva di casa si limitava quindi a qualche breve passeggiata nella piazzetta di Porto Rafael o sulla spiaggia vicina, quasi sempre deserta.

Massimo era molto pigro. Se ne stava mollemente sdraiato sui bassi divani all'orientale che arredavano il soggiorno e la terrazza, oppure si lasciava cullare dal dondolio della barca, tra i cuscini disposti a prua. Non stava mai troppo al sole, ancora più raramente in acqua: si calava in mare dalla scaletta, senza lasciarla, e poi risaliva subito, perché non gli piaceva non toccare il fondo, non si fidava. Canticchiava canzoni simbolo della tradizione napoletana come I' te vurria vasà o Te voglio bene assaje e noi ci univamo in coro: poi, come avveniva sempre quando lui era presente, si innestava una reazione a catena di risate, fino alle lacrime. Una sera scatenò addirittura un mal di pancia collettivo quando si esibì in una caricatura (come se fosse possibile) della sceneggiata napoletana intonando I sto' carcerato e mamma more.

C'erano due momenti in cui Massimo diventata improvvisamente serio e scattante: quando gli si insinuava un'idea da utilizzare per il suo lavoro, e allora si alzava lesto, o interrompeva la cena, per isolarsi e mettere nero su bianco quello che lo aveva ispirato. Oppure, accadeva quando si decideva di trascorrere la serata giocando.

Massimo prendeva il gioco (o la competizione) molto sul serio, non gli piaceva perdere. Dopo cena, sul grande terrazzo di casa affacciato sul mare, ci si divideva in squadre per sfidarsi nei più classici giochi di società. Il più apprezzato e divertente era il gioco del mimo dei film, nel quale lui era ovviamente ferratissimo, e trovava come accaniti antagonisti Lino Patruno, grande jazzista ed esperto cinematografico, ed io, certo non esperta, ma specializzata in film di nicchia (cioè che pochi altri avrebbero la voglia di guardare). Si scatenavano battaglie di ore, dove gli ospiti a mano a mano crollavano, mentre noi proseguivamo fino all'alba. Di due film mi ricordo in particolare, perché su quei titoli Massimo manifestò un certo disappunto: Il posto delle fragole di Bergman, che mi ostinavo a non indovinare (un caso di rimozione da noia, credo) e I quattro dell'oca selvaggia, che lui tentò di mimare imitando, appunto, un'oca: accortosi della difficoltà e del rischio di oltrepassare l'aspetto comico scivolando nel ridicolo, mentre agitava le braccia come ali mi guardò con un velato rimprovero apostrofandomi con un «Managgia a te!».

Massimo aveva scoperto di avere un sosia in America, un attore italo-americano, Bonar Colleano: gliel'aveva rivelato Lino Patruno, e questa scoperta l'aveva intrigato. Non c'era Internet allora, non si poteva appurare immediatamente la somiglianza, e così la curiosità aumentava il fascino di quella scoperta. Lo raccontava a tutti, ma non riuscendo a ricordare il nome del suo «gemello d'oltreoceano», continuava a chiamare Lino per chiedergli come si chiamasse, trasformando quella curiosità in un tormentone. Strana coincidenza: anche Bonar Colleano morì molto giovane, a soli 34 anni, nel 1958.

Massimo, poi, detestava i semi di pomodoro. Me ne resi conto quando per cena preparai una pasta al pomodoro (le altre donne di casa erano per lo più modelle, la cucina era per loro un luogo misterioso). Era tardi, il gruppo reduce dalla gita in barca era famelico e, nella fretta, molti semini restarono nella salsa. Un dettaglio irrilevante per tutti tranne che per lui: quando se ne accorse non ne prese neppure una forchettata, anche se continuò a fissare la pasta con ostinazione e a chiedere: « È buona? Sì, vero? Dev'essere buona…»  Non accadde più, ovviamente, e la caccia al semino intruso divenne da quel momento una sorta di crociata. Da allora, se preparo il sugo di pomodoro per un ospite, sto attenta che neppure un seme filtri nella salsa. Una sorta di omaggio alla sua idiosincrasia.

L'anno successivo ho reincontrato Massimo, sempre a casa di Vittorio. Non era più solo, nella sua vita era entrata Clarissa Burt: bella, intelligente, simpatica, insieme formavano una coppia affiatata e divertente. Lui, sempre pronto a scherzare su tutto, e lei, per problemi di lingua e di indole, non sempre in grado di afferrarne le sfumature, davano vita a comici misunderstanding. Ma erano innamorati e felici. E questo bastava…
Bastava? Difficile non pensare alla celebre battuta di Massimo in Ricomincio da tre: «Quando c'è l'amore c'è tutto».
«No, ti sbagli, chella è 'a salute».  
Anna Mazzotti
Fonte: Vanity Fair