venerdì 29 agosto 2014

Un piccolo tatuaggio troisiano

Durante l'undicesima edizione del Tattoo Expo, in programma lo scorso maggio alla mostra d'Oltremare di Napoli, c'è stato qualcuno che si è fatto un tatuaggio particolare, di dimensioni particolari. "Ho deciso di tatuarmi l'immagine di Massimo Troisi perché è stato un personaggio importante per la comicità e la cultura cinematografica partenopea", commenta con convinzione il ragazzo. La scelta di questo singolare tattoo - in onore del comico napoletano scomparso vent'anni fa - sembra aver avuto successo tra i curiosi che affollano gli stand degli artisti.

Un po' di dolore l'avrà sentito, ma sarà ampiamente ripagato dal fatto di poter portare per sempre Massimo sulla propria pelle.



   

martedì 26 agosto 2014

Pippo Cafarella e la casa color tramonto de "Il postino", metafora di poesia per Massimo Troisi

Massimo, dopo aver girato “Il postino”, a Salina ha lasciato un pezzo della sua anima: ancor oggi – a vent’anni dalla sua morte e dall’uscita del film “Il postino” – turisti italiani e stranieri gli dedicano dei bigliettini che lasciano davanti alla casa, frasi lunghe, poesie, un semplice “Ciao Massimo” accompagnato dal disegno di un cuoricino o di un fiore.

Pippo – proprietario della “casa di Neruda” – a quel film è indissolubilmente legato, perché quella casa, nell’opera del regista Michael Redford, ha un ruolo centrale. Pippo è molto più del proprietario: è la “memoria” di quella dimora. È stato lui, tanti anni fa, a ristrutturarla, a rifare la facciata con le terre e le malte dell’isola, una facciata che, parecchio tempo dopo, avrebbe colpito la produzione del film. È stato lui – in particolari momenti esistenziali – ad andarci a vivere per lunghi periodi e a chiudere con il mondo.
Pippo Cafarella ha molti punti in comune col “postino” Mario Ruoppolo-Massimo Troisi, stesse ispirazioni, stessa ideologia di sinistra, stesso impegno contro la politica balorda del secondo dopoguerra. Con una differenza: la malinconia di Mario Ruoppolo ha il pudore della povera gente dei secoli scorsi. La malinconia di Pippo Cafarella è quella del borghese di fine Novecento. 

Ci sediamo sul sedile di ceramica posto davanti a questa dimora color tramonto, dove sono state immortalate le leggendarie disquisizioni poetiche tra il Vate Neruda-Noiret e il “postino”: nel film si parlava di metafore e di amore per la bella Beatrice Russo (Maria Grazia Cucinotta), mentre le vibranti note di un tango argentino si sprigionavano dal grammofono antico.
Da questo poggio si domina la baia di Pollara, il costone roccioso e la spiaggia, mentre l’acqua
si distende sulla sabbia e il suono del mare è quello riprodotto da Mario con i rudimentali registratori dell’immediato dopoguerra. In primo piano i colori delle buganvillee, degli ulivi e dei gerani, in secondo la tavolozza azzurra leggermente striata dal bianco spumoso lasciato da una barca a vela.
“Vedi quegli scogli? Sono abitati dalle Diomedee, mitici uccelli che la notte emettono un suono straziante. Una volta si pensava che quel canto fosse attribuibile al fantasma di una bellissima donna buttatasi nel pozzo di questa casa per una delusione d’amore”.
Leggende che si perdono nella notte dei tempi e che si intrecciano col mito antico e moderno. Il mito di Omero e di Troisi, di Neruda e del Nobel per la letteratura e del socialismo romantico.
Pippo fruga nelle tasche, prende una lettera dedicata all’attore, e la legge, mentre la brezza sale dal mare, e lui intercala pensieri antichi e presenti con le parole contenute nella missiva.
“Qui sono nato e qui voglio essere seppellito. Qui ho trascorso la mia infanzia, qui le mitiche stagioni della raccolta delle olive. Ricordo i contadini, dopo la potatura, scaraventare a mare i tronchi di ulivo che affioravano dopo qualche minuto. Qui feci il mio Sessantotto, decine di hippy di tutto il mondo che predicavano la pace e l’amore libero vennero ospitati da me, qui vengo per ritrovare me stesso, non d’estate (quando affitto la casa) ma nelle fredde giornate d’inverno, quando le acque piovane e marine si incontrano e sbattono sui vetri e il vento si insinua tra il vulcano e la roccia. Solo allora comincio a dipingere e ad abbozzare versi”.

Caro Massimo,
parlavamo la stessa lingua, ricordi?, che disordini di quadri nelle stanze di questa casa magica, quando tu hai scelto il mio da mettere in scena… non so se “minchia pazza” era una metafora, ma tu ridevi… ed io pure. Grazie di tutto quello che hai detto nel film, mi hai dato tanta forza… e che orgoglio per me che quelle belle parole partissero da questa casa che, come tu stesso mi hai detto, era importante, perché doveva rappresentare la poesia.

“Mi hanno offerto un sacco di soldi per venderla. A un certo punto, per togliermeli davanti ho sparato cifre pazzesche. Non se ne è fatto nulla, sono felice. Non mi interessano i soldi, sarebbe come vendere l’anima. Da alcuni anni, approfittando del successo del film, stanno cercando di speculare attorno alla casa con un progetto di cementificazione al quale mi sono opposto strenuamente. In parte sono riuscito a fermarlo, in parte no, la battaglia continua”.

Mi hai dato ancora più forza e più voce per potere dire no. Mi hai dato la forza di alzarmi ancora in piedi, anche quando mi facevano male le ossa.

Ma in Sicilia – anche nell’”Isola in cielo” – continuare certe battaglie porta a pagare prezzi altissimi. Prima hanno cercato di farglielo capire con le buone, Pippo-smettila-Non-metterti-contro-i-mulini-a-vento. Niente da fare. Quindi sono passati alle vie di fatto: lo hanno aspettato e lo hanno aggredito a pugni, a calci e a colpi di bastone per indurlo alla ragione, niente da fare anche stavolta. Lui non demorde e passa al contrattacco, puntando l’indice contro certi personaggi della terraferma che, a suo dire, stanno cercando di mettere le mani sull’isola. Certo, alle Eolie i vincoli di inedificabilità sono piuttosto rigidi. Ma solo per le volumetrie “fuori terra”. Per gli scantinati e i piani interrati l’edificazione è consentita. E così loro, i “civilizzati”, hanno trovato l’escamotage per farla franca: richieste a bizzeffe per costruire sottoterra. Bunker? No, villette in cemento armato. Con tanto di vista sul mare. Come nei santuari della modernità e dello sviluppo.

Ho parlato, anche se loro cercano di togliermi la voce, perché non ho ancora imparato quello che insegnano: vedere, sentire e parlare nel giusto modo, ma senza dire… con buona resa… nei giusti giri di affari convenienti, comodi e protetti…
Dobbiamo parlare con forza, adesso, sai! Perché quando non potranno prendere questo tempio, loro, lo distruggeranno…

E alle parole “lo distruggeranno”, Pippo fa una pausa lunghissima, come se volesse trattenere tutta la rabbia e tutte le lacrime che ha in corpo. Poi legge le ultime righe della lettera.

Questa tenera, rosea poesia la mostrerò a tutti oggi, semplice e naturale come te, nel tuo ricordo…

Intanto il sole volge al tramonto e assume i colori struggenti della casa, e gli uccelli, dopo una giornata di felicità, tornano nei loro alberi. Le giuste armonie. Che Pippo vuole salvare, perché l’Isola in cielo continui ad essere quella dei poeti. Anche questa volta lascerò qui un pezzo della mia anima.

Luciano Mirone
http://www.linformazione.eu 
  

domenica 24 agosto 2014

Massimo resta tra noi, anche in Argentina

“Le energie di Massimo, sono con noi. Noi non vogliamo lasciarlo andare e lui vuole rimanere.” (Rosaria Troisi)


Massimo resta qui tra noi anche in Argentina, dove è stato ricordato con un evento da un collegio di avvocati a Rafaela (Santa Fe). Un buon numero di persone ha assistito ad un piccolo viaggio nella sua arte e nella sua vita, per il ventennale della sua morte fisica e del film "El cartero", che ha fatto breccia nei cuori anche laggiù. Inevitabilmente non sono mancate le emozioni, Massimo è Massimo in tutto il mondo.

Cristiano



   

mercoledì 20 agosto 2014

Massimo Troisi: il sorriso per stemperare i limiti e i timori di ogni essere umano

Intervento d’introduzione e commento relativo alla proiezione del docufilm Non ci resta che ridere, avvenuta lo scorso martedì 12 agosto presso l’ex Convento dei Minimi di Roccella Jonica (RC)
 
L’incontro di questa sera vuole essere un’occasione per riflettere su quanto sia evidente al momento attuale, all’interno del mondo dello spettacolo come nella vita di ogni giorno, il vuoto lasciato dalla scomparsa, avvenuta vent’anni fa, di una personalità certo particolare, per non dire unica, come è stata quella di Massimo Troisi, tant’è che oggi vi sono molti suoi imitatori ma nessun vero e proprio erede. Molti hanno tentato di accostarsi alla sua figura, ricavarne una qualche ispirazione, compiaciuta e compiacente, ma nessuno è riuscito a riproporre quel suo modo di porsi in scena così schivo ed elegantemente naturale, il suo umorismo sottile e discreto, intriso di forte umanità. E questo perché nella stessa persona coesistevano tre elementi perfettamente combinati fra loro senza che l’uno prevaricasse sull’altro, formando un ensemble empatico di rara efficacia, ovvero la maschera, l’uomo e il divo. Quest’ultima condizione era una naturale conseguenza, senza alcuna artificiosità preposta al riguardo, della grande notorietà assunta da Troisi man mano che la sua carriera andava avanti, in particolare dopo il debutto cinematografico, regista, attore e sceneggiatore (insieme ad Anna Pavignano), con Ricomincio da tre, 1981.
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Prima vi erano state le esperienze teatrali con Enzo Decaro e Lello Arena (I saraceni, poi divenuti La Smorfia), che dal palcoscenico verranno trasferite, tra la seconda metà e la fine degli anni 70 , in una serie di spettacoli televisivi (Non Stop/Luna Park), per una messa in scena apparentemente elementare, ma idonea a richiamare in egual modo tanto le caratteristiche proprie della tradizione napoletana quanto quelle del cabaret.
Con il suo folgorante esordio cinematografico Troisi si è calato nei panni di un moderno Pulcinella, riallacciandosi alla “napoletanità” come riferimento culturale, ma liberandola da preconcetti o sovrastrutture retoriche e ciò viene opportunamente sintetizzato dai versi di una nota poesia di Benigni dedicata all’amico Massimo: “Con lui ho capito la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino e non mi ha mai parlato della pizza e non mi ha mai suonato il mandolino”. Se la mimica facciale e gestuale, pur con una certa compostezza, poteva ricordare il grande Totò, è indubbio, anche se è bene sottolineare come lo stesso Troisi abbia sempre mantenuto le distanze dal confronto, che il suo essere attore, i suoi monologhi sapientemente diluiti, con accorte pause e caratteristici borbottii, rivelassero una certa assonanza con Eduardo De Filippo. Un confronto reso possibile anche da una particolare ironia venata di amarezza e malinconia, idonea a celare le contraddizioni di un uomo del Sud che vorrebbe superare l’atavica rassegnazione e i luoghi comuni che gli pesano sul capo, e con fatica si appresta adEnzo Decaro, Lello Arena, Massimo Troisi accettare il nuovo che si fa avanti, in particolare lasciandosi alle spalle il fardello del facile folklore. Troisi ha quindi affrontato nelle sue opere una raffinata introspezione dell’animo umano e dei sentimenti, rappresentando tematiche complesse quali in primo luogo l’insicurezza della propria generazione, che, tra timori e dubbi, sembrava soffocata o comunque spaventata dai suoi stessi sogni ed ideali espressi poco prima, ritirandosi confusa nel tranquillo buon nido borghese, avvolti e protetti dalla bambagia delle proprie idiosincrasie.
Nel docufilm che vi proponiamo questa sera, Non ci resta che ridere, diretto da Carlo Reposo, potrete assistere ad una serie d’interventi televisivi dell’artista partenopeo, interviste, semplici comparsate, e lo si è scelto proprio per evidenziare quella coincidenza di cui vi ho parlato prima, fra maschera, uomo e divo.
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Troisi, infatti, avesse o meno un copione alle spalle, poneva il suo modo d’essere di fronte ai vari accadimenti, quali la notorietà improvvisa o il clamore suscitato dalla sua disinvoltura nel fare cinema, sfruttando la capacità di trasformare le incertezze registiche in empatia.
Lo vedremo duettare con Pippo Baudo, offrendo spesso alla diretta televisiva un’atmosfera piacevolmente surreale e poetica, affrontare problematiche di natura politica o prendere in giro, con fare sottile ed insinuante, Gigi Marzullo.
Prima della proiezione, potrete poi ascoltare Raffaele Vigliarolo al pianoforte, che eseguirà il tema portante (Luis Bachalov, Sergio Endrigo, Riccardo Del Turco e Paolo Margheri, Oscar 1996 miglior colonna sonora) dell’ultimo film interpretato da Troisi, Il postino, diretto da Michael Radford, che possiamo tranquillamente considerare come il testamento cinematografico di un uomo che ha saputo porre la sua arte al servizio della vita, e ci ha fatto capire come, a volte, con un semplice sorriso sia possibile stemperare la consapevolezza dei limiti e dei timori propri di ogni essere umano.

Antonio Falcone 
  

sabato 16 agosto 2014

Lello Arena su "Scusate il ritardo" e "No grazie, il caffé mi rende nervoso"

"Massimo è parte di me. Non appartiene solo al mio passato, è nel mio presente e sarà nel mio futuro. Parlo sempre volentieri di lui. Troisi spesso mi dipingeva come il Tonino di "Scusate il ritardo". Mi diceva: "Tu sì troppo affettuoso, non te ne rendi conto. Sembra un pregio ma nun è accussì". Ma ho sempre pensato che lo dicesse per prendermi un po' in giro. Mi sarebbe dispiaciuto se avesse dato la parte a un altro. Ora che sono passati tanti anni e riesco a guardare il film con distacco, posso dire che ci sono dei momenti formidabili come quel lungo piano sequenza col dialogo tra Vincenzo e Tonino sotto la pioggia".

"In "No grazie, il caffé mi rende nervoso" interpreto Michele, un giornalista. Credo che ormai una figura del genere non esista più, scriveva i necrologi e assemblava la pubblicità. Inizialmente il film doveva avere più personaggi: la Loren, la De Sio, Pino Daniele. Sarebbero morti tutti per mano di Funiculì Funiculà, come Troisi e Senese. Poi le cose sono cambiate, sono aumentate le situazioni comiche. I fan mi hanno chiesto spesso un sequel. È pronto da un paio d'anni, anche se per ora è rimasto nel cassetto. Ma la storia c'è, anche perché l'idea che Napoli non debba cambiare, su cui si poggia il film, c'è ancora". 

Fonte: Repubblica.it 

    

venerdì 15 agosto 2014

Roberto Vecchioni canta ad Agerola con la maglietta di Massimo Troisi

Un omaggio a Napoli e alla Campania come quando canta ‘O surdato 'nnammurato  o indossa la t-shirt con il volto di Massimo Troisi, ma anche musica e dialogo con il pubblico. Non si risparmia il Professore, Roberto Vecchioni, nell’incontro del 14 agosto ‘Note e Poesia’ tenutosi ad Agerola nell’ambito della kermesse "Sui sentieri degli dei". Coadiuvato e spesso pizzicato da Gianni Simeoli, Vecchioni ha fatto percorrere al pubblico un viaggio emozionale attraverso i suoi successi musicali e la poesia, apprezzando tantissimo la location.

"Massimo era come un fratellino per me, una persona meravigliosa. Il dramma delle situazioni della vita è <<perchè porca puttana quelli più belli se ne devono andare, e gli stronzi devono restare?>>".

Roberto Vecchioni 

   
                            

mercoledì 13 agosto 2014

Reportage da Salina, l'isola del postino Massimo Troisi - Terza parte

Continua il nostro ennesimo viaggio nella magia di Salina. Qui inizia "Il postino", nella baia di Pollara, dove i pescatori tirano a secco le barche a vela (ricostruite da alcuni vecchi pescatori di Salina) nei rifugi modellati nella roccia da madre natura. Un luogo unico per fare un bagno e godersi il tramonto.

 

Eccoli, i rifugi delle barche rialzati con cantinelle e cartapesta per trasformarsi nella modesta casa del postino Mario Ruoppolo. Dall'ultima finestra in alto a destra si affaccia Massimo nel film, pensando a nuove metafore.
  

La spiaggia della scena con Beatrice e di quella finale con il poeta. Massimo non arriverà mai qui per via del sentiero ripido e faticoso. Oggi la spiaggia si è notevolmente ridotta, mangiata dalla mareggiata.
  

Tante iniziative quest'estate a Salina per Massimo. In esclusiva abbiamo anche la foto risalente a questa primavera, in cui l'artista è ancora intenta a disegnare il bel murales davanti la chiesetta di Sant'Onofrio a Pollara. Il postino ora è sempre lì, a godersi il panorama del cratere sommerso di Pollara, poesia nella poesia della natura.
  


Ed eccolo ancora qui Massimo, in quest'immagine finale che mi è venuto spontaneo catturare. E' così, in mezzo ai ragazzi che giocano spensierati che mi piace vederlo oggi, con loro e per loro, esempio e amico come lo è per noi. Magari in attesa di alzarsi e chiedere, da un momento all'altro, di poter dare due calci al pallone anche lui.
  
 

lunedì 11 agosto 2014

Enzo Decaro: "Non esiste nessun erede di Massimo Troisi"

Con la frase sugli emigranti di "Ricomincio da tre", Troisi fece un’analisi sociologica che vale più di mille convegni. E quando chiedevano a Massimo se si sentisse l’erede di Totò o De Filippo lui si metteva a ridere e diceva: "Ma poveri loro a essere accostati a me!". Posso dire che non esiste nessun erede di Massimo”.

Enzo Decaro 


Giusto, Enzo. Fai bene a specificarlo, magari qualcuno avrà preso un abbaglio.

Cristiano

 

venerdì 8 agosto 2014

Ancora storia di "Amici di Massimo Troisi", da "Il mattino" del 4 giugno 2004

Eravamo a San Giorgio a Cremano, come spesso accade ogni 4 giugno. E tra una messa alla parrocchia di Sant'Anna e un occhio alle iniziative per il ricordo di Massimo acquistammo "Il mattino", che in quel giorno allegava un inserto speciale per il decennale della morte. Con grande sorpresa e contentezza lessi questo trafiletto. Quando ho cominciato a far correre la passione per Massimo on line c'era poco e nulla dedicato a lui, ma quel poco che c'era era fatto col cuore, genuino, di qualità e senza alcuna speculazione. Oggi c'è qualcosa in più, non dello stesso tipo, ma ciò che conta è la diffusione e la memoria dello splendore che Massimo ci ha lasciato. Perché chi nasce oggi deve avere la possibilità di sapere che c'è anche un altro tipo di profondità, poesia, spessore e contenuto possibile nella comicità.

Cristiano

   

giovedì 7 agosto 2014

Non dimenticate, assieme all'acqua e il gas aperti, il grande Renato Barbieri

Vi propongo oggi un breve video di Renato Barbieri che illustra il Centro Teatro Spazio a San Giorgio a Cremano, con a chiudere "La smorfia" nel suo periodo d'oro. Massimo iniziò a fare teatro sotto l'ala protettiva di Renato, che fingendosi suo zio gli firmava le giustifiche dei filoni a scuola e lo aiutava in tante cose... Con le sue risorse si arrivò al Centro Teatro Spazio. Ingiustamente poco ricordato, lo faccio io con tanta stima e riconoscenza. Uno che viveva di passioni, per il teatro, i burattini (veniva chiamato anche all'estero ad esibirsi con le sue marionette) e lo spettacolo in generale. Proprio come noi.

Cristiano


                                                   

mercoledì 6 agosto 2014

Un po' di storia di "Amici di Massimo Troisi": il grande regalo di Rosaria Troisi nel 2004

Sono passati esattamente dieci anni da quella telefonata emozionante di Rosaria Troisi che mi invitava alla presentazione del suo nuovo libro dedicato a Massimo, "Come un cesto di viole". "Vieni, mi raccomando, vedi che ti ho fatto una sorpresa!". Mi ero appena diplomato in ragioneria col massimo dei voti con Massimo: grazie all'impagabile aiuto di Gaetano Daniele e ai suoi appunti sul preventivo del costo di un film ero riuscito a incentrare la mia tesina di maturità tutta su di lui, trovando un argomento attinente per ogni materia, religione ed educazione fisica incluse. "Ma allora tu sì nu mostro! E vattenn' mmiez' 'e mostri!", fu ancora il commento a riguardo da parte dell'ironicissima Rosaria. 
All'epoca c'era solo il sito www.noncirestachericordarti.too.it, padre naturale di "Amici di Massimo Troisi, che mi permise di conoscerla e che fu recensito anche dal quotidiano "Il mattino". E il gruppo "Amici di Massimo Troisi", non essendo ancora decollato Facebook, viveva su una mailing list, attivo e variegato già allora. Ero giovane, teneramente ingenuo, e questo traspare dalle righe che scrissi anni prima e che riporto di seguito, inserite da Rosaria appunto nel libro "Come un cesto di viole". Sfogliando le pagine ecco comparire anche una delle prime cose portate da me sulla tomba di Massimo: una cartolina con una poesia di Totò. L'emozione e la gratitudine si trasformarono in un mare di commozione per me. Da allora niente è cambiato: la stima per Rosaria, la passione che è cresciuta, ha attraversato nuove fasi, ha influenzato i miei interessi, i miei studi, il mio lavoro e mi ha portato, come sempre, tante nuove belle conoscenze di persone speciali nel nostro gruppo di appassionati veraci sparsi per il mondo. Ma la certezza intatta è che questa passione mi accompagnerà tutta la vita. Grazie Massimo, grazie Rosaria.

Cristiano






   

martedì 5 agosto 2014

Massimo Troisi ricordato da Nanni Moretti

Oggi vi propongo un'intervista a Nanni Moretti che solo all'inizio parla, schiettamente, di Massimo Troisi. Riporto però anche il seguito che ci permette di respirare l'aria degli esordi di Massimo e un po' del pensiero di un autore-attore, che come lui, aveva e ha sempre qualcosa da dire di un certo spessore, con un suo stile degno di nota. Buona estate.

Cristiano

Massimo Troisi è morto il 4 giugno del 1994, venti anni fa esatti, all’età di 41 anni.
Alla fine del 2002 curai per il giornale un inserto che doveva servire a lanciare una iniziativa editoriale nuova. Con la Repubblica sarebbe uscita una collana di film italiani in Dvd. Tra i titoli previsti c’era anche Il Postino, l’ultimo film interpretato da Troisi. Questo inserto fu l’occasione per raccogliere, su Massimo Troisi, una testimonianza un po’ speciale. Quella di Nanni Moretti, solitamente così riluttante a parlare di film e colleghi italiani contemporanei. Ecco, di seguito, quell’intervista. La quale, per esplicita richiesta dell’intervistato (e non per sua imposizione come in tante altre circostanze), tenne fuori le espressioni di affetto e di commozione più personali, che Moretti preferì tenere per sé. E io ho rispettato il pudore dei suoi sentimenti.
Fu in ogni caso l’occasione per scoprire un legame di cui non sapevo nulla.

«Ho conosciuto Massimo Troisi una ventina d’anni fa attraverso l’attore Marco Messeri. Ci siamo frequentati per un breve periodo e abbiamo anche giocato dei doppi di tennis, noi due in coppia. Poi ci siamo persi di vista e ci siamo ritrovati solo un po’ prima che morisse. Ricordo che mentre io giravo Caro diario alle Eolie incontrai il regista Michael Radford che faceva i sopralluoghi per Il postino…».

Che fu girato subito dopo…
«Sì, Massimo è morto nel giugno ‘94 e il suo film non era ancora uscito, il mio era uscito nell’autunno ’93. Aveva girato a Salina dopo di me. Mi viene subito in mente di dire quello che Troisi non era: a differenza della maggioranza dei registi, di qualsiasi generazione e capacità, non era presuntuoso. Poi a differenza di altri comici non era una persona noiosa».

Agli inizi lei, Moretti, era molto diffidente verso gli accostamenti generazionali…

«I nuovi comici, già. Troisi aveva quasi la mia stessa età. Aveva qualche mese meno di Benigni che è della fine del ’52, e io che sono nato nell’estate del ’53 ho qualche mese meno di lui…»

  
…A lei non piaceva essere assimilato alla categoria comica. Con gli anni il suo sguardo è diventato più affettuoso?
«Ma non è che io non avessi affetto per i registi ai quali venivo associato. La mia insofferenza era per i giornalisti e le loro semplificazioni. Poi infatti si è visto che ognuno di noi ha preso la sua strada. Verdone, Troisi, Nuti, io, Benigni. Ero insofferente verso una formula che voleva racchiudere personalità diverse».

Si ha però l’impressione che il tempo l’abbia resa più amichevole verso i colleghi coetanei, allora come lei debuttanti.
«Il mio sentimento verso Troisi è stato sempre amichevole. Mi piaceva come attore e mi piaceva il suo non credersi diverso da quello che era. E un’altra cosa voglio dire. Che non si avvertiva nei suoi film, giustamente perché non è obbligatorio, ma credo che avesse anche una curiosità e degli interessi politici decisi».
 
Che teneva per sé?
«Che uno magari non sospettava vedendo i film o, a prima vista, anche dalla persona. Ma sicuramente non era un qualunquista, sia umanamente che come spettatore. Aveva i suoi gusti nei confronti dei colleghi anche se non gli andava di esibirli. Però li aveva: gusti, simpatie, affinità. Non era come me che amori e odi li ho messi nei film e nelle interviste».

Allarghiamo il discorso. La maturità ha cambiato i suoi gusti riguardo al cinema italiano, adesioni e ostilità?
«Scorrendo i titoli di questa vostra collana mi vengono in mente le varie epoche della mia vita di spettatore. Quella del Nuovo Olimpia quando vedevo i film di cinque, dieci o trent’anni prima. Poi l’epoca in cui vedevo i film che uscivano in quel momento, e infine quella in cui vedevo i film dei colleghi. "Roma città aperta" mi fa venire in mente la prima. Allora c’erano i cineclub e c’erano i cinema d’essai, il Nuovo Olimpia era il cinema d’essai storico di Roma, e lì la mia generazione ha conosciuto la storia del cinema. (Tra parentesi, ora noi al Nuovo Sacher montiamo "Il grande dittatore" e sono sicuro che un sacco di gente non l’ha mai visto al cinema o non l’ha mai visto proprio, sarà un’occasione per giovani e meno giovani). Poi è venuto il cinema dell’impegno, Rosi. E "Ultimo tango a Parigi", che ho visto il primo giorno, al cinema Quirinale: da pochi mesi avevo finito il liceo, era l’autunno ’72, trent’anni esatti. I miei cambiamenti da spettatore del cinema italiano? Sicuramente è rimasto il mio legame con il cinema d’autore degli anni 60, di prima del ‘68. Poi le affinità con alcuni registi. Tra i classici molti film di Fellini, come movimento il cinema d’autore anni 60 non solo italiano. Poi viene il buco degli anni 80 quando è entrato in crisi il cinema di confezione, anche se gli autori hanno continuato a fare bei film».

Parla da spettatore e da cinefilo. Ma come regista a chi si è ispirato?
«Si fa sempre la figura del megalomane a fare dichiarazioni su questo».

Agli inizi si sarà detto: vorrei somigliare a questo o quel regista?
«Io continuo a vedere molto cinema come spettatore, può capitare che inconsapevolmente fai tue certe atmosfere o certi toni. Io ho cominciato verso i 15 anni ad essere uno spettatore assiduo. Intorno al ‘68. Ho fatto poca politica e dopo, tra il ‘70 e il ‘72 durante gli ultimi anni di liceo. Nel ‘68 la mia giornata tipo era: scuola dove mi annoiavo, pomeriggio al Nuovo Olimpia, e sera al Foro Italico per gli allenamenti di pallanuoto. Non ho un’infanzia tipo Truffaut che andava a rubare le locandine nei cinema. O come quelli che la mamma li portava tutti i pomeriggi a vedere due film, no. Dopo la fine del liceo ho cominciato a fare dei filmini, e mi prendevano per matto perché mi piacevano due modi di fare cinema opposti: i Taviani e Carmelo Bene, che stilisticamente non potevano essere più lontani: "San Michele aveva un gallo" e "Nostra signora dei turchi". Può darsi, dopo aver macinato e digerito tanti film, che poi certe scene riaffiorino nei miei film, non casualmente ma involontariamente. In "Ecce Bombo" a un certo punto siamo in un bar e un cliente dice “rossi e neri sono tutti uguali”, io mi metto a urlare “ma che siamo in un film di Alberto Sordi?” e mi cacciano dal bar. I critici ravvisarono l’analogia con una scena di Sovversivi di Paolo e Vittorio Taviani dove Lucio Dalla viene cacciato da un bar. Un film che amavo molto e ho visto tante volte, ma la mia non era una citazione: non mi rendevo conto. Parentesi a proposito di “rossi e neri sono tutti uguali”. Nel ‘94 sono andato a Milano a riprendere la manifestazione del 25 aprile inquadrando solamente ombrelli perché pioveva a dirotto, eravamo un mese dopo la prima vittoria di Berlusconi e cominciavano quei discorsi sui caduti da una parte e dall’altra, "Il manifesto" ebbe l’idea di promuovere questa manifestazione che venne vissuta a sinistra come una specie di rivincita. Non sapevo che quelle riprese sarebbero poi finite dentro un mio film, "Aprile", quattro anni dopo. C’era uno striscione, che ho filmato ma non montato perché sarebbe stata un’autocitazione troppo vanitosa, che molti anni dopo Ecce Bombo diceva “rossi e neri sono tutti uguali: ma che siamo in un film di Alberto Sordi?”».

Insomma, tra dare e ricevere, le idee circolano.
«…Ecce Bombo uscì l’8 marzo del ‘78, tra poco saranno 25 anni, una settimana prima del rapimento Moro, e il cinema dove uscì ora non c’è più. Ma non ci lamentiamo, oggi gli schermi sono molti più di allora».

Altre citazioni involontarie?
«Un giorno incontrai Lou Castel che senza preamboli, come se tutto fosse sottinteso, mi disse che la mia crisi isterica sul pavimento di un androne in Sogni d’oro secondo lui citava il suo personaggio dei Pugni in tasca».

Si direbbe anche che il tempo abbia ammorbidito la sua ostilità verso la commedia italiana. A proposito: era così o è stata gonfiata?
«Ce l’avevo con il personaggio di Sordi e non con l’attore. Mi prendo tutta la responsabilità, so che era una scena forte: anche nelle platee più disponibili verso di me, durante quella scena si creava un gelo pazzesco. Però a me piaceva moltissimo il Sordi attore soprattutto degli anni 50 e 60, come attore comico ha inventato tantissimo. La commedia: stiamo parlando di un periodo, quello dei miei inizi, fine anni 70, in cui la migliore stagione della commedia italiana si era già spenta. E io ero insofferente soprattutto verso i film che vedevo uscire in quel periodo, ma se andiamo indietro ci sono dei film, anche minori, che mi piacevano e mi piacciono moltissimo: come "Il segno di Venere" di Dino Risi, con un cast eccezionale, Sordi e Peppino tra i tanti. Curioso è casomai che giornalisti e critici considerino e chiamino “maestri”, solo oggi, registi che i loro migliori film li hanno fatti negli anni 50 e 60».

I suoi rapporti personali con i maestri o con i registi più “grandi”?
«In realtà prima dei primi tre superotto, me lo sono ricordato in occasione di una cena per i trent’anni dall’esame di maturità, avevo già fatto un filmino in 8 mm con un mio compagno di classe che poi è diventato frate domenicano…».

Sarebbe la sua vera opera prima…
«Già, fine ‘72. Me l’ha ricordato l’ex compagno frate alla cena. Ecco, a quell’epoca io cominciavo ad andare in giro, dando sicuramente l’impressione di essere velleitario e confuso, a chiedere di fare sia l’assistente alla regia sia l’attore. Probabilmente darebbe a me oggi la stessa impressione chi mi venisse a chiedere di fare entrambe le cose, mi rendo conto che ero quantomeno goffo. Provai con Peter Del Monte, che aveva assistito a un mio famoso “stronzi!” quando a Ischia premiarono come miglior esordiente non me ma un altro…».

Chi?
«Era Giorgio Ferrara, fratello di Giuliano. Poi ho provato con i Taviani e con Maurizio Ponzi. Tutte persone conosciute per caso. I miei genitori erano insegnanti, non conoscevo nessuno dell’ambiente. Come unica referenza avevo il piccolo boom di "Io sono un autarchico" in un cineclub romano, il Filmstudio. Lei diceva “ammorbidito”… A me piacerebbe vedere un bel cinema di confezione, come spettatore non sono per niente contro e non lo sono mai stato. Ci sono tanti brutti film “d’autore”. All’opposto, però, un film come "Victor Victoria", tanto per fare un esempio, in Italia chi è che lo sa fare? Ci sono registi, sceneggiatori e soprattutto produttori che sono contro il cinema d’autore. E va bene, ma chiedo loro: dov’è il Victor Victoria italiano? Le polemiche degli anni passati sul cinema italiano erano fatte di luoghi comuni e frasi fatte, trite e ritrite. Due camere e cucina, dicevano, oppure ombelicale. Ma dov’era invece il buon cinema di confezione negli stessi anni 80 e 90? Ci sono stati tanti brutti film, sì, ma il problema principale dell’industria cinematografica italiana non sono stati i film “troppo personali”: Chi ha dato loro la colpa di tutti i guai, che cosa ha combinato? Che cosa hanno fatto di “industriale”, e per gli spettatori, in questi ultimi vent’anni? E sono tanti, si possono fare duemila film in vent’anni».

Il Moretti imprenditore, oggi, come vede il pregiudizio negativo del pubblico verso i film italiani? E’ diminuito?
«Negli ultimi anni sì, ma sempre in modo episodico. Leggo qui sulla vostra lista anche Pane e tulipani. Lì è stato il pubblico che fin dai primi giorni ha deciso che voleva vederlo e che gli piaceva molto. Ci sono persone in questo ambiente che vorrebbero ricette e sicurezze: io dico ancora – come spettatore, regista, esercente e produttore – che per fortuna non ci sono. Ma è certo, a proposito del film di Soldini uscito all’inizio del 2000, che è stato un successo quello che solo un paio di stagioni prima non lo sarebbe stato».

Conoscerà anche lei gente, né registi né giornalisti ma spettatori, che diffidava e diffida dei film italiani in quanto italiani.
«Purtroppo anche un sacco di gente di cinema, li conosco bene. E poi, purtroppo, a diffidare è proprio il pubblico del cinema di qualità, quello che vent’anni fa cominciava ad essere “educato” dai listini dell’Academy e poi da quelli di Mikado e Bim, proprio quel pubblico che sceglie i film e non si fa influenzare dalla pubblicità e va al cinema non due o tre volte l’anno ma molto di più, proprio questo pubblico fino a due o tre anni fa aveva un pregiudizio negativo profondamente radicato nei confronti del cinema italiano. In parte giustificato in parte no. Qui si tratta, anche con l’aiuto della televisione e di programmi di informazione sul cinema che non ci sono, di ridare smalto al cinema. Che, come uno spettatore francese sa bene, è contemporaneamente mezzo espressivo e industria. E invece i giornali, più vittime che protagonisti, fanno il contrario: polemiche inventate, interviste già lette altre cento volte. E poi, lo dico con più libertà dopo che durante, la mancanza di uno come Veltroni, quando era ministro della cultura c’era la persona giusta nel ruolo giusto. E’ vero che ora il pregiudizio è un po’ meno forte, ma i progressi li hanno realizzati da soli gli spettatori da una parte e i registi dall’altra, mentre tutto il clima intorno…».

Cioè l’informazione.
«L’informazione, la televisione, le premiazioni, l’aver allontanato Barbera dalla Mostra del cinema. Tutti segnali molto negativi. E non si tratta di sinistra e destra, in passato ci sono stati direttori di sinistra a Venezia che a mio parere non hanno fatto un buon lavoro, Barbera è soprattutto un ottimo professionista e averlo allontanato ha appannato in pochi mesi un immagine ritrovata della Biennale. Per questo dico che se le cose sono un po’ migliorate si deve solo al reciproco essersi cercati, film italiani e pubblico italiano e viceversa, malgrado un clima che dopo qualche segnale positivo è tornato indietro. Io nel mio piccolo ho fatto qualcosa, ho prodotto tre esordi di cui vado orgoglioso: Mazzacurati, Luchetti, Calopresti. Non so quanti produttori negli ultimi 15 anni, molto più grandi di noi, hanno fatto esordire tre registi diventati poi tra i più importanti del nostro cinema. Noi, minuscoli, possiamo vantare questo bilancio. Fior di produzioni, molto più grandi di noi, che cosa hanno fatto?».

Senza togliere proprio nulla a Mazzacurati, Luchetti, Calopresti, lei sa bene che il grande peso specifico di tutte le iniziative Sacher dipende molto dal fatto che lei rappresenta una bandiera.
«Ma i film li hanno fatti loro. E ora sono tre dei maggiori registi del cinema italiano. E prima del mio prossimo film voglio ancora produrre delle opere prime, una o due. In questo senso stiamo lavorando, Angelo Barbagallo ed io, e non da poco tempo».

Il concorso per soggetti che Sacher ha bandito farà da vivaio?

«Anche. Ma già da un paio d’anni abbiamo sviluppato dei progetti. Un processo piuttosto anomalo: di solito sono gli aspiranti registi che inseguono i produttori per anni. In questo caso succede il contrario».

E’ lei, produttore, che cerca talenti?
«Persone che non mi hanno chiesto nulla, sono io a offrire loro di esordire. Ma tra le nostre iniziative voglio anche citare le rassegne estive con dibattito all’Arena Sacher. “Viva l’Italia”, nel 2000. Il senso era: volete parlare male del cinema italiano? Va bene, ma prima almeno vedetelo. Poi quest’anno “Bimbi belli”, dedicata agli esordi. Due estati fa in arena c’erano tante persone che per via di quel pregiudizio non avevano visto film che poi invece sono piaciuti».

Dimentica la ragione principale: perché era lei a patrocinare l’iniziativa.
«Ma i film, poi, se piacevano non piacevano per questa ragione. E c’erano film che non solo quel pubblico non aveva mai visto ma che aveva voluto non vedere. Quando poi li hanno visti e sono piaciuti, mica è successo perché c’ero io…».

Quello spettatore “colto” che lei prima descriveva è parte decisiva del pubblico che ha fatto la fortuna del suo Nuovo Sacher a Roma. Un pubblico un po’ snob…
«E se coltivano un pregiudizio loro, figuriamoci gli altri…».

Paolo D'Agostini
 

lunedì 4 agosto 2014

Enzo Decaro ed altri grandi artisti della musica ad Altomonte (CS) per Massimo Troisi

Festival Euromediterraneo 2014: dalla Philarmonica di Calabria al ricordo di Troisi passando per la cultura librari                                                  
Lunedì 4 agosto ad Altomonte (Cs) Enzo Decaro nel suo “Un poeta per amico” dedicato a Massimo Troisi restituirà, con emozione e rispetto, l’immediatezza di quei momenti vissuti con lui e che il tempo non ha corrotto. 
   
Accompagnato sul palco da Stefano Di Battista e la sua band, la voce soave di Nicky Nicolai, Marcello Colasurdo, la voce di Napoli con la sua tammorra, Moustapha Mbengue direttamente dal Senegal con le sue percussioni e il chitarrista Riccardo Cimino a cui viene chiesto di entrare nei tanti mondi interiori di Massimo evocati da alcuni versi. "Un poeta per amico" nasce con l’intento di sostenere l’Associazione medici Bambini Cardiopatici nel mondo e che soffrono di cardiopatia congenita, la stessa malattia che aveva Massimo Troisi. Uno spettacolo che si articolerà in momenti di musica alternati a racconti, aneddoti sulla nascita di questi versi, sui momenti passati con l’amico Massimo agli esordi della loro carriera.

Lo struggente ricordo di “un amico” come Massimo Troisi portato in scena da quell’Enzo De Caro che, nell’ormai lontano 1975, proprio insieme all’indimenticato collega partenopeo prematuramente scomparso ed a Lello Arena formò il famoso trio denominato “La smorfia”.  
  

Renato Scarpa e il nostro Giuseppe Sommario incantano Somma Vesuviana con "L'arte della leggerezza" di Massimo Troisi

Divertimento ma non soltanto questo, conoscenza ma non soltanto questo, emozioni ma non soltanto questo, un turbinio di sensazioni quelle che ha saputo regalare la serata in cui si è presentato a Somma Vesuviana, nel suggestivo borgo Casamale, il libro “Massimo Troisi. L’arte delle leggerezza” di Giuseppe Sommario.

A brani del saggio, letti con maestria dagli attori Daniela Allocca e Alfonso Volpe, si sono alternati il clarinetto e il piano di Raffaele Magrone e Rosanna Cimmino, che con le colonne sonore più belle dei film di Troisi hanno trasportato le tantissime persone presenti nel mondo sognante e profondo dell’autore sangiorgese. Interessante l’intervista all’autore da parte di Valeria Ciarambino che ha toccato i giusti tasti per riuscire, in poco meno di due ore, a far capire quanto lavoro ci sia nel libro di Sommario e come questo scritto possa essere considerato senza tempo. L’ironia dell’autore ha aiutato a comprendere la leggerezza di Troisi. Le sue battute sulla serata, sul luogo scelto per la presentazione, su Somma e sugli ospiti che erano presenti sulla terrazza della Arci hanno strappato più di un sorriso ed un applauso. A fare da contorno gli spezzoni, scelti anche quelli con maestria, delle pellicole di Troisi o delle sue gag con lo storico trio “La Smorfia”. E poi in chiusura il ricordo sincero e commovente dell’attore Renato Scarpa che con Troisi lavorò sia in “Ricomincio da tre” che ne “Il Postino”.

Tra i presenti anche il sindaco Pasquale Piccolo: “Per noi è importante promuovere la cultura, qui stasera ci sono tanti giovani e abbiamo scoperto che ci sono numerose associazioni che lavorano in questo campo, vogliamo interfacciarsi con loro che sono una risorsa per il paese. Un augurio che faccio a voi e me, che presto una serata come questa possa ripetersi per promuovere la nostra città”.
“Questo libro è nato dieci anni fa e la mia massima aspirazione era presentarlo qui a Somma Vesuviana sulla terrazza dell’Arci”, ha raccontato con ironia Sommario, spiegando nei dettagli come da un’amica comune sia arrivato a Pomigliano, e poi fino a Somma dove ha conosciuto la sua compagna di vita e che questo, infine, lo abbia portato all’Arci. Un modo di narrare leggero e divertente che ha coinvolto subito le persone presenti. “Il libro è la mia tesi di laurea”, ha aggiunto, “Un giorno al cinema del mio paese vidi due film, 'Rambo' e 'Pensavo fosse amore e invece era un calesse', capii subito che non potevo essere Stallone e allora mi sono informato sull’autore e quando mi sono iscritto all’università, Lettere a Roma con indirizzo cinematografico, mi è sembrato normale chiedere una tesi su Troisi. Allora mi stupivo e mi arrabbiavo perchè non capivo come su un autore così amato e noto nessuno avesse fatto un libro, poi ce ne sono stati tanti”.
A sottolineare il legame di Somma con Troisi lo storico Ciro Raia: “Credo che nella vita ci siano coincidenze che ritornano, Somma è stata, dopo San Giorgio a Cremano la città che ha saputo in tempo reale della morte di Troisi. Era il 4 giugno 1994, eravamo a Santa Maria del Pozzo e stavamo consegnando la cittadinanza onoraria a Gerardo Marotta, tra il pubblico c’era Aldo Vella, allora sindaco di san Giorgio, lo vidi allontanarsi e fu lui a comunicarmi della morte dell’attore, fu per tutti un momento di grande commozione e ricordarlo qui dopo 20 anni lo è nuovamente. Qui a ricordare un personaggio atopico, come dice Sommario, un personaggio che non ha luogo. Questo di Sommario è un saggio di grande profondità, di quelli che restano in una biblioteca e che si riapre quando si vuole approfondire un personaggio, le sue teorie. Un lavoro approfondito, sulle battute dei suoi film, analisi del testo e del linguaggio di Troisi. Un testo da possedere e conservare”.

E’ stato proprio l’autore a spiegare il termine leggerezza che è nel titolo del suo libro. Un esempio i suoi film, nel finale di ‘Ricomincio da tre’ affronta un tema pesante: la sua donna aspetta un figlio e non sa se è suo oppure no e lui riesce ad uscire da quella situazione dicendo ‘non chiamiamolo Massimiliano, verrà fuori scostumato’. La sua malattia ci ha consegnato un grande attore, avrebbe voluto fare il calciatore, storiche le sue interviste con Gianni Minà a riguardo e invece cominciò a frequentare un oratorio e il teatro. Fu raggiunto da grande successo e rimase sempre semplice, il suo primo film al cinema ‘Gioiello’ di Roma fu proiettato per 600 giorni fu lui stesso a dire si erano stancati anche i residenti di vedere la mia faccia sui manifesti. Il secondo film fu molto intimista perchè dopo il boom del primo tutti gli chiedevano di tutto e lui era un timido. Lo ritroviamo nei suoi personaggi, nel linguaggio. Pensiamo ad uno dei suoi film, quello che ha il titolo secondo me più bello ‘Pensavo fosse amore ed invece era un calesse’, il calesse è un mezzo che ti permette di andare più veloce che se andassi a piedi, ma non troppo veloce. Inoltre, si può partire da soli e magari per strada accogliere qualcuno, un mezzo di trasporto che ti predispone ad accogliere l’altro”.

Altro momento profondo della serata l’intervento di Renato Scarpa.
“Troisi era speciale, un uomo essenziale come dovremmo esserlo tutti”, ha raccontato Scarpa, “Incontrandolo capivi che era un uomo diretto, semplice, noi ci mettiamo addosso incrostazioni che poi dobbiamo toglierci. Lui invece aveva grazia e leggerezza, apparteneva al suo specialissimo iter di vita. Non aveva barocchismi sull’anima. Ho incontrato Massimo dopo aver lavorato con Verdone, io li ho tenuti tutti a battesimo: Verdone, Troisi, Nuti, e al primo incontro ha capito che potevo fare il pirla. (Scarpa sarà il Robertino celebre del film Ricomincio da tre, ndr). Ho preso molto dalla mia biografia personale, sono figlio unico di madre vedova e orfano di guerra. Ho aperto gli occhi sulla guerra, tanto che il mio primo ricordo di vita è un bombardamento. Mio padre è morto a 28 anni e io allora chiedevo a mia madre perchè gli uomini sono così stupidi da uccidersi prima quando tutti dobbiamo morire. Quindi anch’io ero così borderline. “Che senso ha”, mi chiamavano a scuola, se non c’era un senso non mi muovevo. Quando ho conosciuto Massimo mi sono perdutamente innamorato di lui per il suo sguardo così diretto. Una stima assoluta, ci siamo intesi immediatamente. Con quel suo primo film, mi sono sentito popolare con il successo di Ricomincio da tre, ero diventato un deficiente popolare”.

Tanti i giovani presenti, rimasti attenti e coinvolti per tutta la serata. “E’ stato suggestivo assistere sotto le stelle ad un alternarsi di musica, cultura ed ironia”, commenta Federica Sodano, componente dell’associazione “Fontana Chiara”, “Un ringraziamento speciale va all’autore del libro Giuseppe Sommario che con la sua iniziativa ha permesso di ricordare a noi tutti quanto sia viva ed attuale l’arte della leggerezza propria di Massimo Troisi”. Come ha scritto nel suo libro l’autore: “Beh si s’accuminza a fa’ ‘na tesi e’ laurea su di me vuol dire proprio ca 'a scola e’ scisa abbascio”. No caro Giuseppe, se avessimo avuto la possibilità di analizzare la sua persona, il suo teatro e la sua filosofia di vita a questo punto non dovremmo ricominciare da zero ma dovremmo ricominciare da TR…..OISI”.
Una serata che si è chiusa tra gli applausi e i complimenti all’autore, il cui libro è andato a ruba.

FONTE: La Provincia On Line