martedì 23 ottobre 2012

Articolo di Repubblica sul libro "Le vie di Troisi sono infinite", tratto dal convegno dello scorso 19 febbraio

Un libro su Massimo Troisi rivoluzionario della risata

Nel volume "Le vie di Troisi sono infinite" Valerio Caprara, Pasquale Sabbatino e Giuseppina Scognamiglio svelano episodi inediti dell'attore-autore-regista di San Giorgio a Cremano  

di APOLLONIA STRIANO
 
"Annunciazione! Annunciazione!... Tu, Marì, Marì, fai il figlio di Salvatore, Gabriele ti ha dato la buona notizia... Annunciazione!... Annun...". Forse è questo straordinario passaggio dell'atto unico della Natività - Lello Arena nei panni di un ottuso angelo petulante, ostinato come un burocrate nell'annunciare un'incomprensibile svolta nel prossimo futuro di Marì (Troisi), moglie di un umile pescatore, per sbaglio coinvolta e designata a partorire "il figlio di Salvatore" - a condensare più efficacemente le innovative strutture comiche messe in atto dal trio Arena-Decaro-Troisi con il teatro della "Smorfia".

Nel volume collettivo "Le vie di Troisi sono infinite", curato da Valerio Caprara, Pasquale Sabbatino e Giuseppina Scognamiglio (sulla copertina un bel disegno di Troisi come Pulcinella, secondo l'immaginazione artistica di Lello Esposito) molte pagine sono state dedicate alle esperienze degli inizi, nella seconda metà degli anni '70 al Centro Teatro Spazio, in via San Giorgio Vecchio, a San Giorgio a Cremano. In questo laboratorio, i tre ragazzi esprimevano, attraverso una comicità ingenua e surreale, primitiva eppure modernissima, la necessità di fare ricerca, di scardinare i luoghi comuni che riguardavano Napoli e, genericamente, la condizione di meridionali, assecondando un'inarrestabile esigenza di comunicare. Enzo Decaro, nella sua testimonianza posta in appendice, ha ricordato che sono stati gli spettatori "colti" a
interpretare quanto
loro recitavano supportati soltanto da strategie istintive e artigianali, rendendoli, in corso d'opera, consapevoli delle tecniche adoperate e delle scelte teoriche compiute.

Riporta un episodio emblematico: al termine di uno spettacolo, il critico Enrico Fiore definiva il loro cabaret un "contro-cabaret"; solo alla fine della lunga conversazione, timidamente Troisi chiese: "Dottor Fiore ma questo fatto del cabaret è un fatto buono?". In termini simili si era svolto anche il confronto con Dario Fo, che avendo ravvisato un forte parallelismo tra il suo Mistero Buffo e la Natività, ne cercava il riscontro presso i ragazzi. In questa occasione, sottolinea ancora Decaro, "ci mettemmo un po' più di tempo e di coraggio a rivelargli che noi di Mistero Buffo non sapevamo nulla". Che la dimensione in cui si muoveva il gruppo della "Smorfia" fosse lontana dal dibattito intellettuale italiano è evidente, così come risulta chiaro che l'ironico distacco - agli esordi fortuito, poi conservato e custodito con cura - dalle categorie della cultura "alta" è stato il segno sotto il quale si è svolto anche il percorso di Massimo Troisi, regista e attore.

Nascosto dietro il suo singolare "idioletto" linguistico - parole smozzicate, sospese, appena accennate ad indicare improvvisi ripensamenti - in bilico tra il dialetto e l'italiano, Troisi aveva fatto del frammento un tratto incisivo, l'espressione di una diffusa condizione esistenziale fondata sull'incertezza. E' azzerata la distanza tra l'artista e il suo pubblico nella rappresentazione di storie semplici, plausibili, animate da protagonisti vulnerabili, "avvitati" sulle loro stesse fragilità, fino alla soglia della regressione. Per questi personaggi, ai quali Troisi ha sempre prestato il suo volto, stentati nell'eloquio come nella vita, la precarietà non è solo una condizione sociale. Sempre oscillanti tra piccoli o grandi fallimenti e l'ansia del riscatto, riescono ad esercitare una proficua dialettica del dubbio, per approdare all'ironica consapevolezza, da offrire a tutti, che ben poco vi è di assoluto, certo, sicuro.