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martedì 23 ottobre 2012

Articolo di Repubblica sul libro "Le vie di Troisi sono infinite", tratto dal convegno dello scorso 19 febbraio

Un libro su Massimo Troisi rivoluzionario della risata

Nel volume "Le vie di Troisi sono infinite" Valerio Caprara, Pasquale Sabbatino e Giuseppina Scognamiglio svelano episodi inediti dell'attore-autore-regista di San Giorgio a Cremano  

di APOLLONIA STRIANO
 
"Annunciazione! Annunciazione!... Tu, Marì, Marì, fai il figlio di Salvatore, Gabriele ti ha dato la buona notizia... Annunciazione!... Annun...". Forse è questo straordinario passaggio dell'atto unico della Natività - Lello Arena nei panni di un ottuso angelo petulante, ostinato come un burocrate nell'annunciare un'incomprensibile svolta nel prossimo futuro di Marì (Troisi), moglie di un umile pescatore, per sbaglio coinvolta e designata a partorire "il figlio di Salvatore" - a condensare più efficacemente le innovative strutture comiche messe in atto dal trio Arena-Decaro-Troisi con il teatro della "Smorfia".

Nel volume collettivo "Le vie di Troisi sono infinite", curato da Valerio Caprara, Pasquale Sabbatino e Giuseppina Scognamiglio (sulla copertina un bel disegno di Troisi come Pulcinella, secondo l'immaginazione artistica di Lello Esposito) molte pagine sono state dedicate alle esperienze degli inizi, nella seconda metà degli anni '70 al Centro Teatro Spazio, in via San Giorgio Vecchio, a San Giorgio a Cremano. In questo laboratorio, i tre ragazzi esprimevano, attraverso una comicità ingenua e surreale, primitiva eppure modernissima, la necessità di fare ricerca, di scardinare i luoghi comuni che riguardavano Napoli e, genericamente, la condizione di meridionali, assecondando un'inarrestabile esigenza di comunicare. Enzo Decaro, nella sua testimonianza posta in appendice, ha ricordato che sono stati gli spettatori "colti" a
interpretare quanto
loro recitavano supportati soltanto da strategie istintive e artigianali, rendendoli, in corso d'opera, consapevoli delle tecniche adoperate e delle scelte teoriche compiute.

Riporta un episodio emblematico: al termine di uno spettacolo, il critico Enrico Fiore definiva il loro cabaret un "contro-cabaret"; solo alla fine della lunga conversazione, timidamente Troisi chiese: "Dottor Fiore ma questo fatto del cabaret è un fatto buono?". In termini simili si era svolto anche il confronto con Dario Fo, che avendo ravvisato un forte parallelismo tra il suo Mistero Buffo e la Natività, ne cercava il riscontro presso i ragazzi. In questa occasione, sottolinea ancora Decaro, "ci mettemmo un po' più di tempo e di coraggio a rivelargli che noi di Mistero Buffo non sapevamo nulla". Che la dimensione in cui si muoveva il gruppo della "Smorfia" fosse lontana dal dibattito intellettuale italiano è evidente, così come risulta chiaro che l'ironico distacco - agli esordi fortuito, poi conservato e custodito con cura - dalle categorie della cultura "alta" è stato il segno sotto il quale si è svolto anche il percorso di Massimo Troisi, regista e attore.

Nascosto dietro il suo singolare "idioletto" linguistico - parole smozzicate, sospese, appena accennate ad indicare improvvisi ripensamenti - in bilico tra il dialetto e l'italiano, Troisi aveva fatto del frammento un tratto incisivo, l'espressione di una diffusa condizione esistenziale fondata sull'incertezza. E' azzerata la distanza tra l'artista e il suo pubblico nella rappresentazione di storie semplici, plausibili, animate da protagonisti vulnerabili, "avvitati" sulle loro stesse fragilità, fino alla soglia della regressione. Per questi personaggi, ai quali Troisi ha sempre prestato il suo volto, stentati nell'eloquio come nella vita, la precarietà non è solo una condizione sociale. Sempre oscillanti tra piccoli o grandi fallimenti e l'ansia del riscatto, riescono ad esercitare una proficua dialettica del dubbio, per approdare all'ironica consapevolezza, da offrire a tutti, che ben poco vi è di assoluto, certo, sicuro.
  
  

venerdì 13 luglio 2012

Le vie del Premio Massimo Troisi sono finite...per ora, si spera

"Chi ha preso i soldi del Premio?"
Continuo a immaginarmi Massimo in quella tutta blu da attrezzista Rai che invece di parlare dei soldi del Belice chiede del Premio a lui dedicato. Un "Morto Troisi, viva Troisi" edizione 2012, insomma. Ma poi in fin dei conti magari non è che gliene fregherà più di tanto.
 
Non in tantissimi se ne saranno accorti, e non parlo di noi troisiani doc, ma dopo sedici anni per la prima volta non si è tenuto il Premio Massimo Troisi. Niente kermesse tra giugno e luglio quest'anno a San Giorgio a Cremano. Non ci siamo persi probabilmente chissà cosa, specie negli ultimi anni il premio di Massimo portava solo il nome e poco più. Fatto sta che dopo la sanguinolenta (per le casse degli organizzatori) nomina di Maurizio Costanzo a direttore artistico questa volta, probabilmente anche a causa delle recenti elezioni comunali, il piatto piange e tutti restano a casa. Per ora, perché si spera di recuperare per settembre anche solo per un Premio Troisi "umile ma onesto", magari come piacerebbe di più a noi, con più Massimo e meno inutili lustrini. Noi siamo a disposizione a costo zero, tra le altre cose, esclusivamente per la memoria di Massimo. Come ci ha scritto Enrico Fiore "al di fuori degli interessi di bottega dei tanti che oggi si riempiono la bocca col suo nome soltanto per mettersi in mostra o, peggio, per mettersi dei soldi in tasca". E quanti ce ne sono, anche che lo hanno conosciuto...

Adesso che l'acqua è poca e la papera non galleggia vedremo chi davvero ha a cuore questo Premio, chi si prodigherà per l'illustre cittadino sangiorgese anche senza poter intascare più di tanto. A chi interessa adesso salvare il Premio Massimo Troisi, unica manifestazione a lui dedicata (almeno sulle carte ufficiali)? In Rai in tanti erano in prima fila lo scorso giugno per la registrazione di "Poeta Massimo". Adesso aspettiamo e vediamo, sperando di non rimanere ulteriormente feriti e delusi. Per quanto ci riguarda, quando c'è di mezzo Massimo è come ci fosse di mezzo uno di famiglia. Allora per piacere date, diamo al suo ricordo e a ciò che ci ha lasciato quello che merita. Noi ci siamo.

Sarò ancora una volta a Salina questa estate. Vi aggiornerò sullo stato della casa rosa di Don Pablo e della spiaggia, entrambe a rischio, a causa di incuria nel primo caso e delle mareggiate nel secondo.

Buone vacanze a tutti

Cristiano
 

venerdì 22 giugno 2012

La verità di Enrico Fiore in risposta ad "Amici di Massimo Troisi"

Non avevo potuto fare a meno di definire il taglio dell'intervento di Enrico Fiore per "Un poeta per amico" su Raiuno un emblema della superficialità e dell'incomprensibilità di alcune scelte di questa evento dedicato a Massimo (nel post che potete rileggere qui http://amicidimassimotroisi.blogspot.it/2012/06/riguardando-un-poeta-per-amico-tra.html). Adesso, oltre a scoprire con grande gioia che il signor Fiore ci legge e ciò che scriviamo tra post e commenti gli stimola argomentazioni, non posso esimermi dal riportarvi un articolo del suo blog partorito anche a causa di "Amici di Massimo Troisi". Articolo che forse racconta una verità scomoda, paventa la peggiore delle ipotesi che motivano la scomparsa del suo intervento in trasmissione. Ad Enrico Fiore va tutta la nostra stima e solidarietà, che spero attenuino almeno un briciolo di delusione. D'altronde lui come Massimo è un uomo d'altri tempi, probabilmente oggi fuori dal suo tempo per serietà e onestà intellettuale.

Cristiano


Non me ne sarei occupato più. Ma poiché sul sito «Amici di Massimo Troisi» e su Lettera43.it trovo dei commenti a quella trasmissione (e in particolare a quanto è capitato a me nel corso di quella trasmissione), mi vedo costretto, adesso, a qualche chiosa circa l'«omaggio» allo stesso Troisi andato in onda su Raiuno, col titolo «Un poeta per amico», il 5 giugno scorso.
Dunque, succede che la domenica precedente mi telefonino a casa Giorgio Verdelli, uno degli autori dell'«omaggio», ed Enzo Decaro, un altro degli autori nonché conduttore del programma, per invitarmi a partecipare alla trasmissione: visto che, ricordano i due, io fui, in pratica, lo scopritore (giornalisticamente e criticamente parlando) della Smorfia. E, in particolare, Decaro mi invita a rievocare la circostanza singolare - il passaggio in macchina offertomi da lui fino a Castellammare, dove all'epoca vivevo - da cui scaturì il mio primo incontro con il trio, allora sconosciuto, di San Giorgio a Cremano.
Accetto l'invito, in memoria di Troisi, e lunedì 4 giugno registro nell'Auditorium del Centro di produzione della Rai di Napoli (facendo l'una di notte) l'intervento concordato con Decaro. Ma il giorno dopo, appunto il 5 giugno, rimango letteralmente di stucco davanti al televisore: l'intervento in questione era stato completamente tagliato.
Di conseguenza, il giorno successivo, alle ore 10,53, mando a Francesco Pinto, direttore del predetto Centro di produzione della Rai di Napoli, la seguente mail:
«Caro Francesco,
mi sai dire che senso ha avuto invitarmi a partecipare a "Un poeta per amico", dichiarare in trasmissione che sono non "un critico" ma "il critico" e, poi, non farmi dire nemmeno una parola? Il risultato è stato che, nel corso del programma, nessuno ha spiegato ai telespettatori perché Massimo Troisi era un grande attore e in che cosa si distingueva dai suoi colleghi. Forse, senza questa omissione, si sarebbe reso alla sua memoria un omaggio migliore».

Alle 14,52 dello stesso giorno Pinto mi risponde laconicamente, sempre con una mail:
«Caro Enrico,
mi dispiace molto per quello che è successo». Così, senza alcuna spiegazione. E allora provo io, a dare una spiegazione dell'accaduto. Nel corso del mio intervento, io avevo detto, fra l'altro, che il merito principale di Massimo Troisi era stato quello di liberare il teatro napoletano dalla vera e propria palla di piombo che si è trascinato e ancora si trascina al piede: il bozzettismo naturalistico. E magari una simile dichiarazione risultava indigesta, per l'appunto alla rete ammiraglia della Rai che aveva appena finito di mandare in onda - grazie alle commedie di Eduardo De Filippo nella versione di Massimo Ranieri - un autentico trionfo di quel bozzettismo.
   «A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca», dice un certo Giulio Andreotti. E insomma, non è che dobbiamo parlare di censura? Se sì, mandiamo tanti bei saluti alla cultura (fa pure rima) di cui ci si riempie la bocca ad ogni pie' sospinto.

Enrico Fiore

FONTE: http://blog.libero.it/Controscena/11392619.html 

UPDATE: Enrico Fiore ha letto anche questo post e mi ha scritto queste due righe: 
"Caro Cristiano, grazie a Lei, per quanto fa, in memoria di Massimo Trosi, al di fuori degli interessi di bottega dei tanti che oggi si riempiono la bocca col suo nome (così come con quello di Annibale Ruccello) soltanto per mettersi in mostra o, peggio, per mettersi dei soldi in tasca. Enrico Fiore
Ha centrato in pieno la ragione unica per cui esiste questo blog, e che dovrebbe muovere tutti, volti più o meno noti e non, senza secondi fini quando si parla di Massimo Troisi. Chapeau.

lunedì 18 giugno 2012

Massimo Troisi come Viviani ed Eduardo secondo Enrico Fiore, "il critico" teatrale

Eccolo qui, ancora lui, il piccolo grande Enrico Fiore. Ho scritto di lui proprio recentemente, nel post dedicato alle mie riflessioni su "Un poeta per amico (clicca qui per leggere). Il suo racconto, registrato ma tagliato per intero e senza alcuna motivazione logica nella messa in onda di Raiuno, è riportato in parte in questa bella intervista di "Lettera 43". Interessanti anche l'accostamento di Massimo a Raffaele Viviani, grande autore autodidatta capace di parlare di qualsiasi argomento in maniera lieve e profonda, e il parere di Fiore su Alessandro Siani, in cui ritrovo punti di contatto col mio pensiero qui pubblicato insieme ad un video che montai un pò di tempo fa... (clicca qui per l'articolo e il video)

Leggere le parole del "critico" per eccellenza, come l'ha definito Decaro, ci riporta alla vera essenza del teatro, alla sua arte e alla sua funzione sociale. Tanto affascinante sentirne parlare, tanto triste constatare quanto oggi tutto questo non esista quasi più.
Cristiano



È convinto che «certe morti sono emblematiche» e che la prematura scomparsa di personaggi come il drammaturgo Annibale Ruccello (che morì a 30 anni) o l’attore Massimo Troisi (che se ne andò a 40 anni) vada interpretata come una sorta di preveggente uscita di scena, anzi un atto di autodifesa «rispetto ai tempi beceri che oggi viviamo e con i quali Ruccello e Troisi mai si sarebbero ritrovati in sintonia».
RAPPRESENTANTE DEL TEATRO NAPOLETANO. Enrico Fiore, critico teatrale nato a Castellammare di Stabia, per gli operatori culturali che contano rappresenta il teatro napoletano: ha raccontato - severo e giusto - quello degli Anni 60 dei grandissimi Totò, Nino Taranto, Peppino ed Eduardo De Filippo, e degli Anni 90 di Toni Servillo e Mario Martone («Lo ricordo all’esordio, aveva 17 anni») e dello stesso Troisi, il cui talento Fiore scoprì grazie a un fortuito passaggio in auto. E quello di oggi, che a lui appare ridotto a «puro scambio commerciale» nel nome della «necessità di assicurarsi la sopravvivenza», ma anche in grado di far riempire gli stadi a interpreti come Alessandro Siani, uno «tutto forma e niente contenuto».
DOMANDA. Come ha conosciuto Massimo Troisi?
RISPOSTA. Una sera, dopo uno spettacolo, un giovanotto che ancora non si chiamava Enzo De Caro mi offrì un passaggio in auto. Non ho la patente, accettai. All’arrivo a casa, a Castellammare, il giovanotto disse: 'dotto’, faccio teatro con due amici, presto le chiederemo di venire a vederci'.
D. Mantenne la promessa?
R. Due mesi dopo, mi telefonò per invitarmi al teatro Sancarluccio. Era il 1977: lui, Lello Arena e Massimo Troisi (il trio de La smorfia) recitavano in Così è se vi piace, una parodia di Luigi Pirandello.
D. Come fu lo spettacolo?
R. Rimasi sbalordito dalla loro originalità.
D. Perché erano così speciali?
R. Rispetto al solito cabaret politicamente schierato, La smorfia agiva sul linguaggio: demoliva retorica e luoghi comuni su Napoli usando l’iperbole, il paradosso, la dimensione surreale e poi riconduceva il tutto alla quotidianità dell’uomo comune.
D. Qualche esempio?
R. Il monologo con il Padreterno: senza saperlo, Troisi lì fece surrealismo, espressionismo, dadaismo.
D. Le ricordava qualcuno o qualcosa?
R. L’innocenza autodidatta di Raffaele Viviani, il più grande fra gli autori napoletani che non a caso oggi viene ripreso da nomi di rilievo internazionale come Cristoph Marthaler e Robert Wilson.
D. Troisi figlio di Viviani?

R. Simile è la capacità di tirar giù di peso argomenti aulici fino al livello dei più emarginati o di chi, come gli zingari, è ritenuto border line. Un esempio è la scena dell’Annunciazione nella «umile casa di un pescatore», in cui si irride alla ripetitività del rito codificato.
D. Oppure?
R. L’esercizio di una religiosità basata sul rapporto individuale, ma anche critico e libero verso Dio, che è proprio della cultura ebraica.
D. Ci spieghi.
R. Nel famoso monologo, il Padreterno viene senza complimenti rimproverato da Troisi per i presunti errori commessi durante la creazione.
D. Quale è stato il merito principale di Troisi?
R. L’aver liberato il teatro napoletano dalla sua eterna palla al piede: il bozzettismo naturalistico, che invece abbiamo purtroppo ritrovato di recente nelle commedie di Eduardo De Filippo proposte in Rai da Massimo Ranieri.
D. Come finì quella serata del 1977 in cui conobbe La smorfia?
R. Mi offrirono un passaggio in auto fino a Castellammare.
D. Un altro.
R. Già. Troisi, fingendo di non aver capito niente, si divertiva a chiedermi allarmato se le cose che stavo dicendo su di loro fossero da considerarsi buone o cattive. Insomma, se doveva ridere o piangere.
D. E poi?
R. Scrissi un articolo su Paese Sera: fu un importante viatico, di cui i tre mi sono sempre stati riconoscenti.
D. A chi somiglia Troisi?
R. A Eduardo De Filippo nella recitazione, a Viviani nei contenuti. Ma l’ironia corrosiva con cui sapeva prendere in giro perfino se stesso era soltanto sua. E resta inimitabile.
D. Come si comporterebbe, oggi?
R. Una sera, ormai famoso, Massimo mi confidò: devo stare attento, mi offrono un sacco di soldi per convincermi a fare cose che non mi piacciono. Ma io non voglio svendermi.
D. Quindi?
R. Ne sono certo: se fosse rimasto fra noi, non avrebbe mai accettato di recitare cose indegne.
D. Avrebbe scelto il cinema o il teatro?
R. Non avrebbe fatto teatro, visto che oggi è un fenomeno puramente mercantile basato sulla pratica degli scambi di spettacoli per allestire cartelloni e sostenere i budget.
D. In che misura Troisi, da vivo, avrebbe condizionato il nostro stile di vita?
R. Non credo che avrebbe inciso in alcuna misura.
D. Perché?
R. Il Troisi di oggi si chiama Alessandro Siani, frutto dei tempi: è uno che tenta invano di imitare Massimo e riempie gli stadi con battute come «secondo me, secondo te, Secondigliano». Che sono pura idiozia.
D. Di chi è figlio il fenomeno Siani?
R. Di un pubblico che non pensa.
D. Cioè?
R. Siani per me è pura superficie. Dopo un suo spettacolo, non resta niente.
D. Non è un giudizio troppo severo verso il giovane comico?
R. Mi dispiace, ma non è in grado di sostenere neanche quella che tecnicamente si chiama la carrettella.
D. Cos'è?
R. È la capacità - tipica dei grandi del teatro comico - di riprendere e rilanciare la battuta finale di un monologo riaccendendo a ripetizione risate e applausi in sala.
D. E allora?
R. Un bravo attore, che conosce i tempi giusti, riesce a tirarla avanti divertendo il pubblico anche per 10 minuti: lui, no. Le sue battute fulminee muoiono in sé.
D. Come sta, più in generale, il teatro comico napoletano?
R. Sono figli delle tivù locali, a volte cooptati a sproposito a livello nazionale.
D. Se Troisi ci fosse ancora, il teatro napoletano starebbe meglio?
R. Oggi il contenuto non c’è più, tutto è vuota forma: nessuno potrebbe migliorare la triste realtà.

    

sabato 9 giugno 2012

Riguardando "Un poeta per amico": tra "Telethon" e "Alle falde del Kilimangiaro" prevale l'amarezza di non aver fatto abbastanza

Poco Massimo, poche emozioni. Resta certamente l'amaro in bocca di un'occasione persa per ricordarlo in maniera non convenzionale, più sentita e sensata. Non ho cronometrato, ma credo che su due ore di trasmissione montata forse nemmeno la metà del tempo è stato impiegato a parlare davvero di Massimo Troisi e a dedicargli pensieri, ricordi, ringraziamenti. Ne è venuto invece fuori uno strano incrocio tra "Telethon" e una puntata di "Alle falde del kilimangiaro" che ha deluso molti.
Ero presente all'auditorium della Rai di Napoli durante la registrazione e solo riguardando poi tutto quello che hanno trasmesso in tv ho capito meglio le numerose critiche che hanno infuocato il nostro gruppo facebook. Alcune scelte sono risultate davvero incomprensibili, superficiali. Un esempio su tutti: l'intervento e il racconto del grande critico teatrale Enrico Fiore completamente tagliato. Si era prodigato in un lungo racconto, che certo doveva essere ridotto, ricco di deliziosi aneddoti su La Smorfia, i cui componenti erano stati definiti da lui "marziani". Invece nulla, in trasmissione si vede solo lui che avvicina il microfono alla bocca e poi stop. Stacco e andiamo avanti. Poi invece ci lasciano il racconto delle tastiere anni  '70 di Gaetano Curreri, a cui va comunque tutto il nostro rispetto. E pensare che le parole di Fiore erano una delle poche cose interessanti e inerenti della serata.  
E' solo un esempio, vi dicevo. Oltre tre ore di materiale registrato in studio, alcune delle cose scartate e non utilizzate erano le migliori. In sala, dal vivo, un qualcosina in più che c'entrasse con Massimo si era fatto. Niente di straordinario, certo, ma allo spettatore da casa non è rimasto nemmeno quello. Ed è comprensibile la delusione, nonostante il 14,4% di share che comunque testimonia la sete di Massimo che ancora oggi hanno gli italiani. Sete rimasta insoddisfatta per anni e che adesso si protrarrà chissà ancora per quanto tempo.
Ad ogni modo devo constatare ancora una volta, mio malgrado, che sono pochissime le persone che possono dare emozione e giustizia al ricordo di Massimo Troisi. Che sia arrivato magari il momento di dar voce alla gente comune, non famosa, anche se non ha avuto la fortuna di conoscerlo direttamente? Proprio ieri ho letto una dichiarazione di Lello Arena che sembra pensarla allo stesso modo: "Massimo doveva essere messo in condizione di recitare ancora. Lui resta fonte di ispirazione non ricordo asettico. Vive tra la gente. Sarebbe stato importante veicolare le testimonianze di cittadini comuni che spesso incrocio: mi abbracciano, si commuovono soltanto perchè ho avuto la fortuna di lavorare con lui, di vivere il quotidiano con lui. Ecco, questa sarebbe stata la vera commemorazione di un personaggio unico e intramontabile". A costo di peccare di presunzione tiro in ballo noi, il nostro gruppo, composto da tanti irriducibili con una forte passione e una storia da raccontare riguardo Massimo. Emozione e qualità, anche se non dovrei dirlo io. Però vuoi mettere che non costiamo niente e che al posto di martellare la gente con l'sms solidale in beneficenza in Africa ci mandi direttamente i soldi, pur risicati, della produzione? Conosciamo veramente Massimo, non come alcuni passati dalla Rai di Napoli lunedì che probabilmente non sapevano nemmeno chi era, avremmo fatto sicuramente una cosa più emozionante, di contenuto, con criterio. Avevo inviato alcuni dei post di questo blog a Enzo, riguardanti la poesia e l'accostamento di Massimo a grandi poeti e scrittori. Magari non avrà avuto nemmeno il tempo di leggerli. Ma c'erano sei (e dico, sottolineo sei) autori preposti a scrivere un programma, sei menti che dovrebbero far questo di mestiere. Si poteva e si doveva tirar fuori di più. Mancava un'idea, un collante, un nesso, un filo rosso. Io, che non sono nessuno, butto lì un'idea: si poteva procedere per parole chiave tratte dai lavori di Massimo, con letture, riflessioni, citazioni. Amore, malattia, lavoro, religione, poesia, politica e così via. E invece troppa musica (alcune canzoni decisamente fuori tema), pochi fatti. Io che a volte mi chiedo se davvero sarei in grado di fare questo mestiere in questa occasione ho intravisto lampi di ottimismo personale.
Una domanda mi sorge poi spontanea: Enzo Decaro ha almeno supervisionato il montaggio? Ma soprattutto chi e come ha montato il tutto? Sul finale si sente Enzo, in un frangente tagliato malissimo, parlare come se la pianista Rita Marcotulli avesse tradotto un qualcosa in lingua napoletana. Quello che poi si scopre essere la poesia brasiliana riscritta in dialetto da Massimo. Emerge una certa improvvisazione e il pubblico, che non è stupido, se ne accorge. Ci sarà stato sicuramente poco tempo per le prove e solo la postproduzione ha celato, a volte maldestramente, i diversi errori e problemi tecnici della serata. Sono dell'opinione che una cosa o la si fa bene o non la si fa affatto. E che Massimo meritava una cosa fatta bene. Artisti senza alcun legame con lui messi lì in vetrina sembravano improvvisare anche loro (il leader degli Stadio canta una canzone del suo maestro Lucio Dalla con un foglietto in mano per leggere le parole???). Tra tutti salvo Enrico Fiore (che ho potuto ascoltare solo io), il grande Renato Scarpa (ma qui nessuna sorpresa) e  l'intervento di Anna Pavignano. Di ottima fattura anche il duetto sax soprano-sax tenore targato Di Battista-Senese, prodigatisi in una canzone scritta da Massimo a quattro mani con Gaetano Daniele. Il resto è noia, condito dalla demagogia spicciola di Alessandro Siani che gioca sul sicuro nell'accattivarsi le folle giocando sullo psicodramma Equitalia, apre il contributo video parlando inspiegabilmente della vittoria della Coppa Italia, sfoggia una furba riverenza verso il nostro (non si fa mancare un pizzico di retorica: Massimo era nei cuori della gente già prima della sua morte) e parla nostalgicamente di una Napoli "non banale, educata, dolce, arguta" salvo poi fare di un personaggio come Tatore il suo cavallo di battaglia. E vogliamo sorvolare sull'errore relativo alla data della morte di Massimo, un "5" giugno ridoppiato malissimo in "4" da qualcuno in Rai. 
Nobilissimo il fine della beneficenza (400 mila euro raccolti via sms), nulla da dire sulle buone intenzioni di Enzo Decaro. Non credo assolutamente a speculazioni di sorta o a scelte fatte in malafede e per convenienza. Si è sbagliato, è venuta fuori una cosa sicuramente non soddisfacente. Per fretta, inadeguatezza o non so cos'altro.
Chiudo ritornando per un attimo su Renato Scarpa, di cui forse pochi conoscono bene lo spessore umano, svelando un aneddoto che serve a inquadrare meglio un uomo, prima che un attore, di altri tempi. Alla Massimo, potremmo dire. Uno dei pochi che quando parla di lui si illumina, si commuove e si emoziona sempre, gli è sinceramente grato, proprio come noi. Sei certo che non ha secondi fini, materiali o egocentrici. Lunedì sera ha dovuto ripetere il suo ingresso con la bici due volte e tra la prima e la seconda aveva il microfono acceso. Si è sentito chiaramente quando ha detto a Decaro: "No, non dico cose non vere". Ho capito durante il suo intervento di cosa parlava, anche conoscendo alcuni retroscena. Ha detto davanti alle telecamere che la bici che aveva tra le mani era quella che usava perlopiù Gerardo Ferrara, controfigura di Massimo ne "Il postino". Volevano che dicesse diversamente, non l'ha fatto e hanno poi tagliato il relativo passaggio nel montaggio definitivo, in cui resta solo Decaro che ringrazia il sindaco di San Giorgio per aver concesso la bici. Racconto questo episodio non per far gossip, ma per far conoscere meglio di che pasta è fatto Renato Scarpa, professionista silenzioso e grande persona, conosciuta di recente a San Giorgio a Cremano. Mi piacerebbe molto vedere, anche se so per certo che non ne avrò mai la possibilità, un qualcosa organizzato e gestito proprio da lui in memoria di Massimo. Sono sicuro che metterebbe d'accordo molti di noi, se non tutti. Basta poco, basta il cuore.
Cristiano