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martedì 23 settembre 2014

Silvia Scola: "Massimo Troisi e mio padre avevano la stessa idea di Napoli"

"Papà aveva un rapporto molto stretto con Massimo, che frequentava casa nostra, ed è stato molto addolorato per la sua morte, solo di recente è riuscito a rivedere "Il postino", era troppo triste per la perdita del suo amico. Papà quando mi chiese di scrivere il film "Che ora è" in cui Troisi interpreta il figlio e Mastroianni il padre, aveva proprio in mente Massimo per quel ruolo. Per scriverlo mi sono ispirata al nostro rapporto di padre e figlia, anche se paradossalmente io ho scritto più il personaggio di Mastroianni e papà quello di Troisi. Mio padre e Troisi erano uniti anche dalla stessa idea di Napoli, come Massimo, anche lui detesta quell'oleografia di una città tutta spaghetti e mandolino, vuole sempre vederne anche le ombre."  

Silvia Scola, figlia del regista Ettore e co-sceneggiatrice di "Che ora è" e "Il viaggio di Capitan Fracassa" con Massimo Troisi.
  

domenica 6 luglio 2014

Massimo-tour a Civitavecchia sui luoghi di "Che ora è", con Massimo Troisi e Marcello Mastroianni

"Abbiamo girato Che ora è proprio per non far finire Splendor, per continuare a stare insieme, ma veramente. Di Che ora è ne abbiamo parlato tanto tutti e tre (con Scola e Mastroianni), è nato al ristorante. Poi giravamo Splendor ma parlavamo dell'altro continuamente. Dei tre film con Scola senz'altro amo di più questo, il più piccolo nel senso buono e dove con Marcello stavamo sempre insieme. Nella storia io e Mastoianni quasi ci scambiamo i ruoli: lui è allegro, anzioso, vitale, irrequieto come un giovane; io sono calmo e posato come un uomo maturo".

Massimo Troisi


                         

giovedì 22 marzo 2012

Ettore Scola, il lato buffo dell'esistenza e il ricordo di Massimo Troisi

«Scarabocchi personali» di Ettore Scola, in mostra nella Sala Murat di Bari. Il regista disegna il repertorio umano con uno stile incisivo, duro e spigoloso

BARI - Per Ettore Scola i suoi disegni sono qualcosa in più di un pensiero trasformato in tratto grafico, sono, come egli stesso li definisce, «scarabocchi personali, destinati più al cestino che al cassetto». Per chi invece conosce lo Scola regista, quello capace di aspri affondi sociali su una commedia umana tutta italiana, tagliata con sguardi a tutto tondo sui ceffi grotteschi del sottoproletariato, sui saccenti e patetici intellettuali salottieri, sulle delicate solitudini di donne o di omosessuali, questi universi di bizzarre creature aiutano a tratteggiarne meglio la fisionomia creativa.

E’ un’umanità in cerca del «buffo dell’esistenza», costipata in affollati disegni o staccata in più sfoltite ambientazioni, da oggi in mostra a Bari all’interno della Sala Murat in occasione del BifEst. Per l’inaugurazione ufficiale bisognerà aspettare invece il 23 marzo quando ci sarà anche l’autore, che del festival barese è il presidente. La mostra invece sarà visibile fino al 30 marzo e poi proseguirà per Parigi. In realtà lo Scola disegnatore è sempre esistito, da quando giovanissimo partecipava alla rivista satirica Marc’Aurelio, storico magazine di cui condivideva le pagine con mostri sacri del calibro di Fellini, Camerini, Steno, Scarpelli, Marchesi, Metz, Zavattini. All’amico Fellini è peraltro dedicata una microsezione della mostra, dove il maestro è trasformato in un’icona, assolutamente riconoscibile anche quando compare di spalle seduto sulla sedia di scena con l’inconfondibile cappello, o quando campeggia isolato a tutta pagina in una grandezza che suona come un deferente omaggio. Molti dei suoi personaggi di penna, spesso precisati con più marcate identità direttamente nei suoi film, affidati a lapis o a inchiostro di china, disposti su fogli, tovaglioli, e margini di giornali, sono al contrario anonime comparse, esponenti di una variegata tipologia sociale.

Un repertorio umano popolato da nani, donne procaci, ometti opachi, turisti improbabili, incalliti e sfigati spettatori tv, tutti in uno stile compendiario ma incisivo, duro e spigoloso, ideale per una messa a nudo di vizi e virtù. Appena deformate o semplificate nel tratto, le figure si impongono nelle addensate impaginazioni dove si schierano come in un lungo piano sequenza, oppure si palesano in composizioni più rade, dove si impegnano in eccentriche ritualità o citano celebri fumetti, come nel caso del Bobo di Staino. Comunque difficilmente lasciano del tutto indifferenti, piuttosto recapitano quello stesso amaro retrogusto dei suoi più popolari personaggi cinematografici. La celebrazione scoliana avrà il suo punto di forza il 26 marzo quando nella Sala 1 del Multicinema Galleria verrà proiettato il film documentario intitolato Un ritratto di Ettore Scola diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte.

Marilena Di Tursi
Fonte: Corriere del mezzogiorno
 
 
Un disegno di solito è un progetto, organizzato prima mentalmente poi graficamente, quasi sempre ispirato da intenzioni illustrative, ornamentali, celebrative e caricaturali, eseguite per studio, per committenza e per omaggio.
I miei disegni invece - se si escludono le vignette del mio giovanile apprendistato nel settimanale "Marc'Aurelio" e qualche schizzo buttato giù durante la preparazione di un film per chiarire a me stesso e ai miei collaboratori lo spunto iniziale di un carattere, di una scena o di un costume - sono scarabocchi personali, destinati più al cestino che al cassetto.
Sono ghirigori mentali, giochi di parole visivi, segni tracciati per distrazione riflettendo ad altro o a niente.
Li faccio da sempre, su fogli, tovaglioli, margini di giornali (quasi mai su album da disegno), a lapis, a penna a inchiostro di china (mai con l'odiata biro). Non essendo io particolarmente dotato né per il ritratto né per il paesaggio, i miei "soggetti" sono figurine anonime, passanti e astanti irreali che trovano la loro possibile realtà nel riferimento a similitudini, tic e comportamenti di ordinaria quotidianità.
Sono personcine dall'esistenza abbreviata in una sola dimensione, senza chiaroscuri, perplesse nella fissità di un cenno o di uno sguardo: come quando un improvviso pensiero ci blocca per un istante in un gesto a mezz'aria. Ometti di periferia, donnine di case modeste, nudi o vestiti ma sempre alla ricerca di un contegno che sperano di trovare magari mettendo una mano in tasca e avendo un bicchiere nell'altra. Accostati per contrasto, figli giganti e padri nani, mariti minimi e mogli debordanti tentano di farsi notare con una occhiatina allusiva, un passo elegante, un atteggiamento allegro che ci faccia dimenticare la loro mostruosità.
Umanità piccola e malinconica che, se proprio le si vuole trovare uno scopo, è lì per affermare il lato buffo dell'esistente. Che poi è quello che ci aiuta a trovare il coraggio di vivere.


Con Massimo Troisi ci siamo trovati fuori dai film, umanamente. L'ho conosciuto quando ancora non faceva cinema, con La Smorfia. Mi piaceva il suo essere così poco napoletano nelle cose che non mi piacevano, io che sono di mamma napoletana. Era un intellettuale della contronapoletanità, fu contento di lavorare con Mastroianni perché non è che amasse molto fare il regista, mestiere di grande fatica fisica e dispersività. Ognuno vuole fare una domanda al regista che non ha quasi mai una risposta ma deve fingere di averla. Fu un rapporto facile, comodo e facemmo altri due film, nonostante gli dissi che non gli conveniva riguardo gli incassi. Con me faceva film di nicchia, ma lui amava questo. Abbiamo fatto tre film insieme più per il piacere di stare insieme che per i film.
Ettore Scola

Nel video seguente c'è anche Rosaria Troisi, che a proposito di "Che ora è" ci parla del rapporto di Massimo con papà Alfredo con divertenti aneddoti.
  
                                 

giovedì 9 febbraio 2012

"Che ora è" a teatro con Pino Quartullo. E' sempre l'ora di Massimo Troisi

Una volta tanto sono andato a teatro anche per Massimo. "Che ora è" è arrivato a Napoli, e con lo spettacolo anche la mostra fotografica documentata per il nostro blog da Angela poco più di un mese fa (http://amicidimassimotroisi.blogspot.com/2012/01/massimo-troisi-la-passione-che-non.html). A dire il vero non ho trovato qui a Napoli tutte le foto che avevo visto nelle immagini inviatemi da lei. Ad ogni modo grandi emozioni per un qualcosa dedicato anche a Massimo Troisi, ogni tanto, nella sua città. 
E poi lo spettacolo. Potete leggere le mie impressioni nella recensione che segue, qui desidero spendere due parole per Pino Quartullo, che ha voluto fortemente questo spettacolo. Ha spazzato via ogni scetticismo con la sua regia e la sua interpretazione; davvero un attore concreto e misurato. E una gran bella persona, conosciuta in camerino dopo la rappresentazione davanti ad una torta per festeggiare la sua prima napoletana. Abbiamo discusso della messa in scena, ha addirittura accolto una mia osservazione che più tardi Ettore Scola a cena ha approvato. Piccola modifica in corso alla pièce. Io mi sono azzardato, ma lui si è rivelata una persona umile e pronta all'ascolto di chiunque. Umile...ma onesta, insomma. Proprio come piace a noi. 
Se potete fateci un salto, fino a domenica lo spettacolo è in scena al Delle Palme di Napoli.

Cristiano

Pino Quartullo in scena con “Che ora è” al Delle Palme di Napoli

“Che ora è”, spettacolo prodotto, diretto e interpretato da Pino Quartullo e tratto dalla sceneggiatura del film omonimo diretto da Ettore Scola nel lontano 1989, arriva a Napoli. L’emozione è palpabile e Pino lo confessa a fine serata dal palco. Il fascino della prova del pubblico napoletano in questo caso raddoppia per via di quel Massimo Troisi che fu splendido protagonista insieme a Marcello Mastroianni della pellicola che fruttò ai due una Coppa Volpi a ex aequo per la migliore interpretazione. L’esame è superato, il pubblico applaude entusiasta anche per la presenza di Ettore Scola in sala. Uno spettacolo misurato, attento a non scimmiottare il film e i suoi attori, con una messa in scena essenziale ma efficace. Accanto a Quartullo (che interpreta il ruolo che fu di Mastroianni, quello di un brillante avvocato romano) c’è la piacevole sorpresa Clementino (nei panni che furono di Troisi e cioè del figlio Michele, militare indolente). Non da meno la giovane Valentina De Giovanni, che interpreta la fidanzata di Michele.
  
Lo spettacolo racconta di un padre e un figlio che trascorrono una giornata insieme in quel di Civitavecchia, un incontro-scontro che termina in fin dei conti alla pari, lasciando spazio a sprazzi di comprensione reciproca. Un vecchio orologio da taschino del nonno regalato a Michele scherma e fa superare i momenti più aspri del confronto, risvegliando ricordi ed emozioni sopite. Quartullo e Clementino si cuciono addosso i personaggi strizzando spesso l’occhio ai toni della commedia e dimostrando un ottimo affiatamento. La trasposizione dal cinema al teatro è perlopiù riuscita; appaiono talvolta ridondanti le spiegazioni date dai protagonisti al pubblico, ma per il resto la rappresentazione fila via snella e gradevole.

Si ride, si riflette e ci si rispecchia. L’adattamento è firmato, oltre che da Quartullo, da Paola e Silvia Scola. Le musiche sono quelle originali, composte dal maestro Armando Trovajoli per il film. Un piccolo capolavoro per la profondità con cui tocca il tema del rapporto padre-figlio, in maniera talvolta dura ma senza mai rinunciare ad un’ironia sagace, che lascia il segno.

Cristiano Esposito

Lo spettacolo resta in scena al teatro Delle Palme di Napoli fino a domenica 12 febbraio 2012. Per info consultare il sito www.teatrodellepalme.it.

  

mercoledì 4 gennaio 2012

Massimo Troisi, la passione che non delude mai. Racconto di una giornata alla mostra fotografica di "Che ora è"

Alle volte ci accingiamo imperterriti a cercare ciò che più amiamo con l’idea di trovare a tutti i costi quello in cui crediamo. Non sempre è così, ma in questo caso…

Che ora è? Ore 8:05 stazione Termini, binario 25, avevo dimenticato che fosse uno degli ultimi, una distanza da accorciare solo correndo.

Ore 8:15  partenza: direzione Civitavecchia.
Immediatamente l’affanno subiva un arresto inaspettato, aprendo il varco ad uno stato emotivo già noto: una serenità; un affetto improvviso a dir poco familiare; una voglia di andare, tornare e di nuovo andare, pur di ritrovare… Un po’ come capita a chi si mette in viaggio per ritrovare un proprio caro portato via dal tempo, che ad un certo punto e chissà per quale arcana ragione ci si ritrova a rivivere comunque in un modo o nell’altro. 

Mentre il treno si muoveva lentamente e si lasciava alle spalle gli addii delle partenze, poco lontano, alla mia sinistra, altri suoi simili fermi, in rimessa, forse in disuso mi hanno portato alla mente l’immagine di quel bambino che ogni anno sperava in un dono diverso, ma che puntualmente riceveva sempre e solo l’ennesimo trenino. Che scema quella befana!  
 
All’arrivo, Civitavecchia aveva l’aspetto tipico che si scorge quando il vento e la pioggia bisticciano con il mare dando origine a suoni, immagini e addirittura dialoghi, ben rappresentati nell’invenzione di Ettore Scola, trasfusa nella pellicola del 1989 propriamente intitolata “Che ora è”.
Uno dei capolavori più delicati sul tema del contrasto generazionale padre-figlio, ma soprattutto di un padre e di un figlio che con un po’ di ritardo scoprono di non conoscersi abbastanza e che lentamente, ripercorrendo  le fila dei ricordi e delle parole non dette, portano alla luce i disagi e le incomprensioni trascorse. Il tutto dietro uno scenario fermo, dalle luci basse; che sa di umido come tutti i ricordi, anche un po’cupo, che paradossalmente rende vivo tutto ciò che viene a galla.

A distanza di 22 anni il teatro Traiano di Civitavecchia rende omaggio ai protagonisti del film, Massimo Troisi e Marcello Mastroianni, con una mostra fotografica realizzata con le foto di Mario Tursi, da poco scomparso.
All’arrivo il teatro sembrava attendermi, entro, mi giro intorno, un po’ disorientata direi, forse dall’emozione. Un momento assai difficile da descrivere, volevo riempirmi di quegli sguardi, umori, sorrisi accesi, accennati, di ogni ghigno impresso lì sulle stampe, riempirmi di tutto ciò che era stato.
Inizio pian piano a scorgere una serie di foto, ordinate in successione in base alle scene del film. Più che in un teatro sentivo di stare in una chiesa, un luogo caro, ma sacro.
Lentamente mi sono affacciata nella sala per guardare da dove aveva inizio tutto quello che stavo cercando e retrocedendo di qualche passo, per un attimo ho sperato che quel percorso numerato fosse più lungo del previsto.

E’ bastato il primo telo su cui si adagiavano le prime foto ed improvvisamente eccomi lì! Un balzo vertiginoso mi ha buttata in quella storia dai toni grigi; in quei giorni trascorsi e rappresentati passo dopo passo dalle foto successive, ed io, senza avere la benché minima cognizione di quello che fu veramente, ho cominciato a rivivere momento dopo momento, tutte le dinamiche di un set.

Mentre seguivo lentamente l’ordine delle scene, sono stata assalita da una strana sensazione: non si trattava di un set qualunque dove si dava vita semplicemente ad una sceneggiatura, ma di un set che, volutamente o non, narrava la storia vera di due uomini diversi, ma complementari: Massimo, più giovane, dedito al gioco, ma con la consapevolezza che solo lui conosceva alla sua età, ripreso a volte in momenti di grande riflessione e Marcello, che fuori dal set più che un papà sembrava essere un consigliere, un sostegno, un caro zio che avendo qualche anno in più si muoveva da gran benefattore elargendo e tramandando aneddoti, proverbi ed esperienze a chi in quel momento gli stava più vicino.
Due uomini diversi, dal cui volto si evinceva il senso di ogni cosa che si muoveva nelle loro vite.
La sensazione che si prova guardandole tutte, sia quelle sul set, che fuori dal set è che questi due uomini alternino momenti di giocosità assoluta a momenti di forte compostezza.
Scene oggi inusuali.
Una carrellata di pose, che dall’inizio alla fine sembrano rappresentare con minuzia di particolari tutta la mimica dell’uomo-attore. Paradossalmente la semplicità delle immagini descrive ed esalta la poliedricità dell’artista. Invano risulterebbe l’intenzione di descriverle tutte, perché in ognuna vi sono mille sfaccettature ed ognuna racconta i sorrisi e le lacrime di una vita.
Ci sarebbe troppo da dire…

Ve n’è una che ritrae Massimo seduto ed attorniato da una decina di giovani leve rigorosamente in divisa da cui si evince l’espressione tipica del compagnone qual’era, addolcita da un leggero imbarazzo e da quella timidezza che in fondo non lo aveva mai abbandonato.

Un’altra molto intensa, una tra le più belle, dove lui seduto su un vecchio muretto, con il capo girato, con una gamba penzoloni e l’altra richiusa e riposta in alto verso di se, mostra un profilo inedito, con lo sguardo di un pensatore rivolto in lontananza.

E poi ancora lui, con i suoi sorrisi variopinti di allegria, consumati di ironia, dolci, amari che prova un giro di giostra con Mastroianni.
Sempre lui che segue interessato un discorso di Scola, che chissà quali consigli gli avrà riservato.
Lui, il ragazzo del 1989, schivo, modesto e generoso, alle volte straordinariamente “biricchino”.

Ancora una volta ho trovato tutto quello che cercavo…

Angela Paoletta

mercoledì 23 novembre 2011

Mostra fotografica a Civitavecchia per ricordare "Che ora è" e Massimo Troisi

Inaugurata sabato pomeriggio al teatro comunale Traiano di Civitavecchia la mostra fotografica sul set del film "Che ora è?" di Ettore Scola. L'iniziativa, finanziata dalla Fondazione CaRiCiv, è stata pensata dal direttore artistico del Traiano, Pino Quartullo in occasione del riadattamento del film a testo teatrale che andrà in scena al Traiano venerdì. Sabato e domenica prossimi con un matinée il sabato per oltre 600 studenti. 
  
Le foto che saranno esposte fino a domenica prossima, sono state concesse da Manuela Tursi, la figlia di Mario Tursi il fotografo del film. Tra gli scatti ce ne sono anche tre di un fotografo locale, Tino Romano. L'iniziativa è il frutto della sinergia, sempre più frequente tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia e l'Amministrazione Comunale. Il film del 1989 aveva lasciato i civitavecchiesi un po' amareggiati per come veniva definita la città, grigia piovosa e quasi deserta; il sentimento che animò questa parte di popolazione non aveva tenuto conto che nelle intenzioni di Ettore Scola non c'era la volontà di descrivere negativamente la città, bensì la città era lo sfondo di un più grande dramma, ovvero l'incomunicabilità generazionale tra i due protagonisti. La divergenza delle loro aspettative, che rendono Civitavecchia il pretesto per sottolineare l'estraneità di Mastroianni alle prospettive del figlio. Un dramma che si riproporrà da venerdì sul palco del Traiano che vedrà lo stesso Pino Quartullo vestire i panni di Mastroianni. Insieme a lui Clementino e Valentina Mastrogiovanni diplomata all'accademia delle arti, nei panni di Loredana, la fidanzata civitavecchiese di Michele.

Fonte: Trc