giovedì 1 maggio 2014

Rosaria Troisi: «Se Massimo fosse diventato vecchio avrebbe scritto per il teatro»

Il prossimo 4 giugno saranno vent’anni esatti che se n’è andato Massimo Troisi. Era un sabato, stava a casa di una delle sorelle, Annamaria, che abitava a Roma, e dopo pranzo volle stendersi perché si sentiva affaticato. Non si alzò più. Stava male da tempo. Lo sapeva lui e lo sapevano i suoi familiari e i suoi amici. E lo sapevano il regista Michael Radford e tutti gli altri che con Troisi lavorarono al film Il postino, finito di girare poco prima di quel 4 giugno. È noto che stava così male, durante le riprese, da poter interpretare soltanto le scene in cui appariva in primo piano, mentre per tutti i campi lunghi venne usata una controfigura. Ed è noto anche che per quel film rinviò consulti medici importanti. Fu un atto d’amore infinito verso il cinema, che per la prima volta affrontava non da comico, lui che aveva fatto ridere tutti e tantissimo. Un atto d’amore che, più e meglio di chiunque altro, comprese sua sorella Rosaria, rimasta a lungo accanto a Massimo in quel periodo. «Ogni volta che usciva per andare a girare, gli dicevo di farsi il segno della croce. E lui, che in verità non era mai stato un gran credente, lo faceva». Ma fu una frase a farle capire che non c’era nessuna incoscienza in quella ostinazione a voler restare sul set nonostante stesse tanto male. «Questo film voglio farlo con il mio cuore», le sussurrò un giorno. «Sapeva che probabilmente il medico egiziano che avrebbe dovuto visitarlo gli avrebbe parlato dell’eventualità di un trapianto, e voleva che tutto accadesse dopo quel film». Dei cinque fratelli che Massimo aveva — due maschi e tre femmine, tutti fermamente contrari al progetto di fiction messo in piedi e poi ritirato da Mediaset — Rosaria è quella che più si è assunta il compito di renderne pubblicamente viva la memoria. Tre anni fa lo ha fatto anche con un libro scritto insieme a Lilly Ippoliti, Oltre il respiro (Iacobelli Editore, pagine 112, euro 12). «Non è un libro solo mio e di Lilly, è anche di Massimo e di tutti quelli che vogliono leggerlo. Perciò i proventi vanno totalmente ad associazioni di volontariato». È un libro commovente, Oltre il respiro: perché si parla poco di Massimo Troisi attore o regista o autore, e molto di Massimo Troisi fratello, figlio, zio, cognato. E di quando Troisi era soltanto Massimo, Rosaria racconta anche al Corriere, in un incontro a tratti emozionante perché in casa ogni cosa parla di lui: c’è in un angolo la sedia del suo studio, i suoi oggetti di scena, le sue foto. Manca quella enorme, che prende quasi un’intera parete: era nella sua casa ai Parioli, e ora appartiene a Lynda, la figlia di Rosaria, che se l’è portata al Nord, dove è andata a vivere dopo il matrimonio. «Quando ha ristrutturato casa, gli operai ogni mattina prima di iniziare a lavorare, entravano nella stanza dove c’era la foto e salutavano: “Ciao Massimo”. E lo stesso facevano prima di andare via». A Lynda, che si è laureata con una tesi su suo zio, Massimo era legatissimo. Quando nacque — alla fine degli anni Settanta, quando in Italia succedevano cose terribili — lui non fece gli auguri alla sorella o a Gino, il cognato al quale pure voleva un gran bene. Scrisse un biglietto direttamente a lei: «A Lynda per il coraggio dimostrato aggregandosi agli umani in un periodo tanto difficile ». Quanto era diverso zio Massimo, dal suo personaggio di zio Vincenzo interpretato in Scusate il ritardo, quello che cinicamente vuole conservare l’affetto della nipotina per essere assistito quando sarà vecchio. Rosaria si chiede «chissà come sarebbe stato lui se fosse diventato vecchio. Io credo che avrebbe scritto per il teatro. Sì, sono abbastanza sicura che avrebbe scritto per il teatro». La loro mamma, Elena, invece si chiedeva continuamente che cosa avrebbe potuto fare Massimo da grande. Quando era piccolo fu lei a portarlo per la prima volta su un set, quello dove si preparava la campagna pubblicitaria della Mellin. Inviò una foto del suo bambino quasi senza crederci, e invece fu scelto proprio lui. E quella fu l’unica volta da testimonial di Massimo Troisi, perché da adulto e famoso rifiutò sempre, anche offerte allettantissime. Ma adulto e famoso, mamma Elena non lo vide. Lei che era così preoccupata per il futuro del figlio, che vedeva fragile per la malattia al cuore insorta quando era ancora un bambino, se ne andò all’improvviso in un giorno de l 1971 , quando Massimo non aveva ancora 18 anni e già cominciava a star male. Anzi, proprio quel giorno non stava bene ed era a letto, e Elena era seduta accanto a lui quando in un attimo si accasciò per non riprendersi più. Aveva 54 anni. Nelle settimane e nei mesi successivi furono gli amici dell’oratorio a trascinare Massimo, per provare a farlo distrarre e fargli superare il trauma, alle prove della commedia che stavano mettendo su:
Napoli milionaria. Rosaria racconta che quando andarono a vederli, nel teatrino della parrocchia, non sapevano nemmeno bene Massimo che parte avesse, «perché lui non si era mai interessato particolarmente al teatro ». E invece lo trovarono nei panni di Gennaro Iovine: «Faceva la parte che fu di Eduardo, e la faceva benissimo. Disse nostro padre: “E chisto addò è asciuto?” (e questo da dove è uscito, ndr) Non lo immaginava nemmeno lui che potesse essere tanto bravo». Quel papà, Alfredo, che quando andava a vedere il figlio recitare su un set, si teneva sempre in disparte perché non voleva disturbare: «Tiene già tanta gente attorno, lasciamolo in pace», diceva agli altri figli. E che ha provato l’infinito dolore di sopravvivergli. Racconta Rosaria che tante volte Alfredo si era rammaricato perché sua moglie non aveva avuto la gioia di vedere il successo del figlio. Ma quando Massimo se ne andò, capitarono momenti in cui lui si rivolgeva direttamente a Elena: «Beata te che non ci sei più. Almeno ti stai risparmiando questa sofferenza». Cinque anni dopo Massimo, se n’è andato anche lui.


Cogliamo l'occasione per mandare un grandissimo abbraccio alla dolcissima Rosaria. A presto!

Cristiano
   

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