sabato 10 marzo 2012

Vestire e abbottonare adeguatamente il ricordo. Il minimo che dobbiamo a Massimo Troisi

Angela è uno degli ultimi regali di Massimo, una di quelle persone rare, che non incontravo da tempo. Una di quelle in cui ritrovi la passione più simile alla tua, lo stesso animo e la stessa predisposizione a certe impressioni, sensazioni, emozioni. Dopo dieci anni di "Amici di Massimo Troisi" ho imparato a riconoscerle a naso. Massimo tocca le stesse, identiche corde in noi, come in altri membri del nostro gruppo. E non si può fare a meno di diventare amico di questi "amici di Massimo". Ci si ritrova, ci si confronta e arricchisce, ci si diverte in una strana e stupenda alchimia. E in virtù di una passione vera, calda e genuina, disinteressata e lontana da idolatrie mitomani, riverenze obbligatoriamente politically correct. La passione è la stessa ma ognuno ha la sua personalità, le sue sfumature, il suo carattere. Indipendentemente da Massimo ma più forti, grazie a lui e alla vera passione, di distanze geografiche e anni che passano veloci.
E così ho sentito subito un pò anche mio il racconto di Angela, e sarebbe stato così anche se non avessi fatto parte di quella giornata. Una giornata per Massimo, con Massimo e...i suoi e miei amici.
Cristiano

 
       
Sono trascorsi solo pochi giorni…eppure è già memoria.  
Ve lo dico così: domenica 19 febbraio ho visto Massimo. Non è stato facile, ovvero tremendamente difficile. Provo ad esporre le impressioni e purtroppo l’inquietudine, forse anche un po’ di delusione per quella giornata che resterà sempre nei miei ricordi. 

Arrivata a Napoli in prima mattinata ho continuato il viaggio insieme ai numerosi utenti della circumvesuviana, ancor più felice al pensiero di seguire quel percorso che chissà quante volte Massimo avrà bazzicato. Appena sono scesa dal treno San Giorgio a Cremano, con aria domenicale, era lì. Io felice, ma molto toccata - con un leggero magone che esitava tra l’accettazione e il rifiuto di venir fuori - ho chiesto informazioni circa la distanza tra lo spiazzo in cui mi trovavo, antistante la stazione, e il cimitero che avrei raggiunto a piedi. Fin qui sentivo come una sorta di ossigenazione, un benessere, forse indotto da un vuoto che per un attimo ho creduto si stesse riempiendo. Mi incammino e comincio ad osservare ogni stradina, palazzo, finestra o balcone con una ripresa visiva quasi vorace, compiaciuta ogni tanto dello stupore di qualche passante, che dallo sguardo penso volesse dirmi: “Sì ‘na forestiera?”.
Nel contempo mi godevo la passeggiata quando, ad un certo punto, la strada si apre dando vita ad uno slargo; mi ritrovo così a cercare con gli occhi, il tempo di girarmi e alla mia destra leggo: PIAZZA MASSIMO TROISI. Immetto aria nel petto e respiro; con lo sguardo provo a seguire il perimetro di quello spazio, accompagnata da una gioia profonda che, a tratti, veniva disturbata dal pensiero costante di raggiungere Massimo. Lascio la piazza alle mie spalle e, nell’indecisione, imbocco la strada che più mi invoglia; con aria alquanto divertita e coccolata dagli sguardi dei sangiorgesi, continuo nel mio viaggio. Avevo dimenticato il calore e la premura di quella gente.  Singolari effetti sortivano i signori anziani, in particolare uno di loro al quale ho chiesto informazioni sul percorso da seguire per il cimitero. Lui, con fare entusiasta, mi ha indicato una sorta di scorciatoia. Tale erano la cura e la gestualità della rappresentazione che per un attimo ho riconosciuto l’immagine di chi ti sta calorosamente prendendo in braccio per portarti a destinazione. Straordinario! 

Mi avvio di nuovo, con la convinzione che prima o poi avrei intravisto le mura e i cipressi di un luogo mai sperato per il ritrovo di un amore custodito. Cammino ancora, scegliendo di poggiare i miei passi sul marciapiede, precisamente quello di destra, onde evitare regolarmente la tipica risalita, frettolosa e necessaria, da azionare all’arrivo di quelle autovetture solite circolare di prima domenica. Anche quest’ultime, incredibilmente, sembrano combinarsi con tutto il resto dello scenario. Ad un certo punto, mentre avanzo, mi giro e sulla sinistra leggo: CENTRO TEATRO SPAZIO. No, non ci sto, non è possibile, allora con una schiettezza improvvisata ed esagerata mi rivolgo a chi forse ho affianco a me e dico: “Massimì, ma che stai facenn’, stai pazziann’? Vuoi accompagnarmi tu?”.
Continuo e penso che mi piace proprio tutto di queste strade; quante migliaia di volte le avrai imboccate? Mi piace veramente tutto, dal negozio allestito per il carnevale, ai signori della pescheria imbrigliati nei loro stivali intrisi d’acqua, intenti a ripulire il selciato esterno, con lo sguardo distratto nel passaggio dei curiosi. Cammino e cammino ancora quando ad un tratto, in lontananza, scorgo una bella chiesetta adornata da una vegetazione rigogliosa. Il tutto incorniciato da un cielo grigio perla, a tratti leggermente trafitto da un lieve sprazzo di sole. Al mio arrivo il vento si fa più forte, non so, quasi a significare un movimento, una risposta di benvenuto in quel silenzio imperturbabile. Comincio a respirare, affretto il passo e penso: “Non so dove riposi, sento di essere vicina e non provo più neanche ad immaginare com’è la tua nuova casa, aspetto solo di vederti.” Chiedo ad un custode che mi dice di seguire dei ragazzi. Tutti accorrono per il tuo giorno. 

Sono arrivata! Mi indicano la congrega di San Raffaele. Entro, provo a cercarti con lo sguardo ma non ti trovo. Un signore mi mostra delle scale, salgo su e inizio a vacillare, vorrei vederti subito ma poi mi fermo e aspetto, è un momento che non vorrei consumare. Dopo un po’ provo ad avvicinarmi, ma sei impegnato con alcuni signori che forse ti conoscevano più di me. Parlano, parlano, raccontando con fervore alcuni aneddoti della tua vita terrena ed io… attendo. Appena vanno via muovo dei passi e mentre provo ad accostarmi mi assale una tenerezza devastante, allora mi chino a terra e avvicinandomi quanto più posso e ti accarezzo. Finalmente ti ho trovato. Che bel vestito che hai! Ti guardo e tu mi sorridi. Per un attimo lascio cadere un occhio sugli oggetti di cui sei circondato: tanti piccoli doni… Chissà cosa penserai, se un fiore in più o un fiore in meno possa alleviare la nostalgia della tua vita passata. Te ne porgo uno, un’orchidea verde. Ero indecisa sul colore da scegliere, volevo regalartene una gialla, ma poi ho pensato: “Gli piacerà? Non sarà troppo colorata?”. Ho scelto così quella verde nella speranza che la tua gioia si rigeneri ogni volta che qualcuno si ricordi semplicemente, senza troppi allestimenti e cerimonie. Ho sostato lì davanti non so per quanto tempo, probabilmente un’ora o poco più. Per quanto intima e silenziosa appariva la mia figura pareva destare meraviglia perché ad un certo punto alcuni ragazzi che passavano di lì per salutarti, facendo un lieve cenno con la testa, mostravano nei miei riguardi un’autentica riverenza pensando, forse, che la mia presenza lì fosse dettata da un qualche grado di parentela. Ho avuto un certo imbarazzo. Ho atteso ancora, pur sapendo che il tempo stava finendo. Mi ero convinta che ti avrei lasciato solo per qualche ora e che sarei ritornata da te non appena mi sarei liberata. Non so, forse un modo come un’altro per esorcizzare il distacco. Sì, il termine giusto è liberata, perché sentivo personalmente di soprassedere all’impegno preso. Ti porgo un bacio e vado via ma dopo pochi metri mi giro e con passo svelto torno indietro per darti ancora un ultimo saluto. 

Naturalmente il mio disappunto non riguardava la persona che di lì a poco avrei incontrato. Se dovessi definirla oggi avrei qualche difficoltà perché un solo aggettivo non mi basterebbe e tanti tutti insieme non gli darebbero il giusto peso. Il mio disappunto, forse, era rivolto in generale ai (buoni) propositi di cui l’uomo è portavoce con l’assoluta certezza di fare cosa gradita, senza fermarsi neanche per un attimo e chiedersi: “cosa sento di fare per questo giorno? E’ così che dovrebbe essere ricordato un uomo, un amico, un fratello?”. Vi lascio con questo interrogativo e proseguo. Incontro la persona citata poc’anzi, un amico caro, con il quale inizio a seguire il programma previsto per la giornata. Mi reco a Villa Bruno per il convegno. Evento promosso in ricordo di o per studiare chi? Secondo interrogativo, proseguo. Il convegno è in corso, sono un po’ afflitta, mi siedo, ma aleggia un’aria finemente cupa. Provo a girarmi intorno, ipotizzando sia a causa del mio umore: la mia solita percezione accelerata. Invece scrutando bene lo spazio intorno a me mi accorgo che nulla di più vero si intravede in quelle facce. Forse interessate ma spesso annoiate, indossano una postura piuttosto forzata pur di mantenere un certa presenza e/o apparenza. Ebbene, non sto qui a soppesare i vari personaggi accorsi, sta di fatto che, probabilmente, un convegno di tale levatura e durata non solo non rappresentava in quel momento la naturalezza dell’uomo che stava decantando ma neanche minimamente si avvicinava all’idea di quella sobrietà connaturata al suo essere. Ciò nulla toglie all’importanza dello studio svolto per l’occasione. Magari, però, nel giorno del suo compleanno e nella sua città natale sarebbe stato più umano ricordarlo con altri intenti, riservando l’excursus accademico per un’altra occasione, in una sede più consona ai tecnicismi del caso e magari con una folla nutrita di giovani studiosi universitari. Che fine può avere un così ardito progetto se resta chiuso in se stesso, nell’interscambio letterario dei soli addetti? Massimì, cosa avrai pensato? Io di certo ho avuto freddo, ma mi sono scaldata non appena ho visto la tua casa, in Via Cavalli Di Bronzo. E’ lì che ho provato ad immaginarti, indaffarato o annoiato nei tuoi giovani pomeriggi. In quell’istante la distanza tra il ricordo di te e la realtà che mi circondava era sconfinata.  Mi sono detta che troppo tempo era passato. Ed in quel momento, nella tua terra, mi sono ritrovata ad ascoltare un’ennesima nota di malinconia, che leggera soffia delicatamente nell’aria. Perché? Qual è il sentimento comune con cui hanno vestito e abbottonato il tuo ricordo? 

Avrei voluto, per il giorno del tuo compleanno, filmare un’aria di festa, avrei voluto rincorrere e riacchiappare l’allegria come solo tu sapevi fare. Correvi, afferandola sempre, anche nei momenti più difficili, anche nei posti più reconditi, inaccessibili agli altri. Invece anch’io, ferma, incapace ho subito senza reagire. Credo, in cuor mio, che quando svanirà questa lenta tarantella di voci, eventi, dicerie, sarà il giorno in cui in qualche modo ci parlerai dicendo: “Uagliù, ma che state facenn’?”. Quello sarà il giorno in cui tutti si ricrederanno.  
Dopo una lunga pausa ritorniamo ad assaggiare qualche altro spunto della seconda parte del convegno di Villa Bruno. Non ho più tempo, ho il treno che mi aspetta, e piena d’esitazioni improvvisamente mi allontano, saluto il mio caro amico con un fare insolito, rapido, spedito, più con lo sguardo che con la forma. Al momento del commiato provo ancora una dolce e amara tristezza per il compimento di una giornata indimenticabile. Corro via, quasi a lasciarmi dietro tutto il resto. Salgo sul treno, questa volta meno felice di terminare il viaggio in compagnia dei già noti e numerosi utenti della circumvesuviana, ma tra una fermata e l’altra vengo assalita dal rimpianto e dal rimorso di non essermi comportata come avrei voluto. In quello stesso istante faccio una promessa: tornerò a  trovarti  e quando lo farò sarà diverso. 
Ciao Massimo, a presto. 
Angela
       

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