Angela è uno degli ultimi regali di Massimo, una di quelle persone rare, che non incontravo da tempo. Una di quelle in cui ritrovi la passione più simile alla tua, lo stesso animo e la stessa predisposizione a certe impressioni, sensazioni, emozioni. Dopo dieci anni di "Amici di Massimo Troisi" ho imparato a riconoscerle a naso. Massimo tocca le stesse, identiche corde in noi, come in altri membri del nostro gruppo. E non si può fare a meno di diventare amico di questi "amici di Massimo". Ci si ritrova, ci si confronta e arricchisce, ci si diverte in una strana e stupenda alchimia. E in virtù di una passione vera, calda e genuina, disinteressata e lontana da idolatrie mitomani, riverenze obbligatoriamente politically correct. La passione è la stessa ma ognuno ha la sua personalità, le sue sfumature, il suo carattere. Indipendentemente da Massimo ma più forti, grazie a lui e alla vera passione, di distanze geografiche e anni che passano veloci.
E così ho sentito subito un pò anche mio il racconto di Angela, e sarebbe stato così anche se non avessi fatto parte di quella giornata. Una giornata per Massimo, con Massimo e...i suoi e miei amici.
Cristiano
Sono trascorsi solo pochi
giorni…eppure è già memoria.
Ve lo dico così: domenica 19 febbraio
ho visto Massimo. Non è stato facile, ovvero
tremendamente difficile. Provo ad esporre le impressioni e
purtroppo l’inquietudine, forse anche un po’ di delusione per quella giornata che resterà sempre
nei miei ricordi.
Arrivata a Napoli in prima mattinata
ho continuato il viaggio insieme ai numerosi utenti della circumvesuviana, ancor
più felice al pensiero di seguire quel percorso che chissà quante volte Massimo
avrà bazzicato. Appena sono scesa dal treno San
Giorgio a Cremano, con aria domenicale, era lì. Io felice, ma molto toccata - con un
leggero magone che esitava tra l’accettazione e il rifiuto di venir fuori - ho
chiesto informazioni circa la distanza tra lo spiazzo in cui mi trovavo,
antistante la stazione, e il cimitero
che avrei raggiunto a piedi. Fin qui sentivo come una sorta di ossigenazione,
un benessere, forse indotto da un vuoto che per un attimo ho creduto si stesse
riempiendo. Mi incammino e comincio ad osservare
ogni stradina, palazzo, finestra o balcone con una ripresa visiva quasi vorace,
compiaciuta ogni tanto dello stupore di qualche passante, che dallo sguardo
penso volesse dirmi: “Sì ‘na forestiera?”.
Nel contempo mi godevo la passeggiata
quando, ad un certo punto, la strada si apre dando vita ad uno slargo; mi
ritrovo così a cercare con gli occhi, il tempo di girarmi e alla mia destra
leggo: PIAZZA MASSIMO TROISI. Immetto aria nel petto e respiro; con lo sguardo
provo a seguire il perimetro di quello spazio, accompagnata da una gioia
profonda che, a tratti, veniva disturbata dal pensiero costante di raggiungere
Massimo. Lascio la piazza alle mie spalle e,
nell’indecisione, imbocco la strada che più mi invoglia; con aria alquanto
divertita e coccolata dagli sguardi dei sangiorgesi, continuo nel mio viaggio. Avevo
dimenticato il calore e la premura di quella gente. Singolari effetti sortivano i signori
anziani, in particolare uno di loro al quale ho chiesto informazioni sul
percorso da seguire per il cimitero. Lui, con fare entusiasta, mi ha indicato
una sorta di scorciatoia. Tale erano la cura e la gestualità della
rappresentazione che per un attimo ho riconosciuto l’immagine di chi ti sta
calorosamente prendendo in braccio per portarti a destinazione. Straordinario!
Mi avvio di nuovo, con la convinzione
che prima o poi avrei intravisto le mura e i cipressi di un luogo mai sperato
per il ritrovo di un amore custodito. Cammino ancora, scegliendo di poggiare i
miei passi sul marciapiede, precisamente quello di destra, onde evitare
regolarmente la tipica risalita, frettolosa e necessaria, da azionare
all’arrivo di quelle autovetture solite circolare di prima domenica. Anche
quest’ultime, incredibilmente, sembrano combinarsi con tutto il resto dello
scenario. Ad un certo punto, mentre avanzo, mi
giro e sulla sinistra leggo: CENTRO TEATRO SPAZIO. No, non ci sto, non è possibile,
allora con una schiettezza improvvisata ed esagerata mi rivolgo a chi forse ho
affianco a me e dico: “Massimì, ma che stai facenn’, stai pazziann’? Vuoi
accompagnarmi tu?”.
Continuo e penso che mi piace proprio
tutto di queste strade; quante migliaia di volte le avrai imboccate? Mi piace
veramente tutto, dal negozio allestito per il carnevale, ai signori della
pescheria imbrigliati nei loro stivali intrisi d’acqua, intenti a ripulire il
selciato esterno, con lo sguardo distratto nel passaggio dei curiosi. Cammino e
cammino ancora quando ad un tratto, in lontananza, scorgo una bella chiesetta
adornata da una vegetazione rigogliosa. Il tutto incorniciato da un cielo
grigio perla, a tratti leggermente trafitto da un lieve sprazzo di sole. Al mio
arrivo il vento si fa più forte, non so, quasi a significare un movimento, una
risposta di benvenuto in quel silenzio imperturbabile. Comincio a respirare,
affretto il passo e penso: “Non so dove riposi, sento di essere vicina e non
provo più neanche ad immaginare com’è la tua nuova casa, aspetto solo di
vederti.” Chiedo ad un custode che mi dice di seguire dei ragazzi. Tutti
accorrono per il tuo giorno.
Sono arrivata! Mi indicano la
congrega di San Raffaele. Entro, provo a cercarti con lo sguardo ma non ti
trovo. Un signore mi mostra delle scale, salgo su e inizio a vacillare, vorrei
vederti subito ma poi mi fermo e aspetto, è un momento che non vorrei
consumare. Dopo un po’ provo ad avvicinarmi, ma sei impegnato con alcuni
signori che forse ti conoscevano più di me. Parlano, parlano, raccontando con
fervore alcuni aneddoti della tua vita terrena ed io… attendo. Appena vanno via
muovo dei passi e mentre provo ad accostarmi mi assale una tenerezza
devastante, allora mi chino a terra e avvicinandomi quanto più posso e ti
accarezzo. Finalmente ti ho trovato. Che bel vestito che hai! Ti guardo e tu mi
sorridi. Per un attimo lascio cadere un occhio
sugli oggetti di cui sei circondato: tanti piccoli doni… Chissà cosa penserai,
se un fiore in più o un fiore in meno possa alleviare la nostalgia della tua
vita passata. Te ne porgo uno, un’orchidea verde. Ero indecisa sul colore da
scegliere, volevo regalartene una gialla, ma poi ho pensato: “Gli piacerà? Non
sarà troppo colorata?”. Ho scelto così quella verde nella speranza che la tua
gioia si rigeneri ogni volta che qualcuno si ricordi semplicemente, senza
troppi allestimenti e cerimonie. Ho sostato lì davanti non so per
quanto tempo, probabilmente un’ora o poco più. Per quanto intima e silenziosa
appariva la mia figura pareva destare meraviglia perché ad un certo punto
alcuni ragazzi che passavano di lì per
salutarti, facendo un lieve cenno con la testa, mostravano nei miei riguardi un’autentica
riverenza pensando, forse, che la mia presenza lì fosse dettata da un qualche grado
di parentela. Ho avuto un certo imbarazzo. Ho atteso ancora, pur sapendo che il
tempo stava finendo. Mi ero convinta che ti avrei lasciato solo per qualche ora
e che sarei ritornata da te non appena mi sarei liberata. Non so, forse un modo
come un’altro per esorcizzare il distacco. Sì, il termine giusto è liberata,
perché sentivo personalmente di soprassedere all’impegno preso. Ti porgo un bacio
e vado via ma dopo pochi metri mi giro e con passo svelto torno indietro per
darti ancora un ultimo saluto.
Naturalmente il mio disappunto non riguardava la
persona che di lì a poco avrei incontrato. Se dovessi definirla oggi avrei
qualche difficoltà perché un solo aggettivo non mi basterebbe e tanti tutti
insieme non gli darebbero il giusto peso. Il mio disappunto, forse, era rivolto
in generale ai (buoni) propositi di cui l’uomo è portavoce con l’assoluta
certezza di fare cosa gradita, senza fermarsi neanche per un attimo e chiedersi:
“cosa sento di fare per questo giorno? E’ così che dovrebbe essere ricordato un
uomo, un amico, un fratello?”. Vi lascio con questo interrogativo e
proseguo. Incontro la persona citata poc’anzi, un amico caro, con il quale
inizio a seguire il programma previsto per la giornata. Mi reco a Villa Bruno
per il convegno. Evento promosso in ricordo di o per studiare chi? Secondo
interrogativo, proseguo. Il convegno è in corso, sono un po’
afflitta, mi siedo, ma aleggia un’aria finemente cupa. Provo a girarmi intorno,
ipotizzando sia a causa del mio umore: la mia solita percezione accelerata. Invece
scrutando bene lo spazio intorno a me mi accorgo che nulla di più vero si
intravede in quelle facce. Forse interessate ma spesso annoiate, indossano una
postura piuttosto forzata pur di mantenere un certa presenza e/o apparenza.
Ebbene, non sto qui a soppesare i vari personaggi accorsi, sta di fatto che, probabilmente,
un convegno di tale levatura e durata non solo non rappresentava in quel
momento la naturalezza dell’uomo che stava decantando ma neanche minimamente si
avvicinava all’idea di quella sobrietà connaturata al suo essere. Ciò nulla toglie all’importanza dello
studio svolto per l’occasione. Magari, però, nel giorno del suo compleanno e
nella sua città natale sarebbe stato più umano ricordarlo con altri intenti,
riservando l’excursus accademico per un’altra occasione, in una sede più
consona ai tecnicismi del caso e magari con una folla nutrita di giovani
studiosi universitari. Che fine può avere un così ardito progetto se
resta chiuso in se stesso, nell’interscambio letterario dei soli addetti? Massimì, cosa avrai pensato? Io di
certo ho avuto freddo, ma mi sono scaldata non appena ho visto la tua casa, in Via Cavalli Di Bronzo. E’
lì che ho provato ad immaginarti, indaffarato o annoiato nei tuoi giovani
pomeriggi. In quell’istante la distanza tra il ricordo di te e la realtà che mi
circondava era sconfinata. Mi sono detta
che troppo tempo era passato. Ed in quel momento, nella tua terra, mi sono
ritrovata ad ascoltare un’ennesima nota di malinconia, che leggera soffia
delicatamente nell’aria. Perché? Qual è il sentimento comune con cui hanno vestito
e abbottonato il tuo ricordo?
Avrei voluto, per il giorno del tuo
compleanno, filmare un’aria di festa, avrei voluto rincorrere e riacchiappare
l’allegria come solo tu sapevi fare. Correvi, afferandola sempre, anche nei
momenti più difficili, anche nei posti più reconditi, inaccessibili agli altri.
Invece anch’io, ferma, incapace ho subito senza reagire. Credo, in cuor mio, che quando
svanirà questa lenta tarantella di voci, eventi, dicerie, sarà il giorno in cui
in qualche modo ci parlerai dicendo: “Uagliù, ma che state facenn’?”. Quello sarà il giorno in cui tutti si
ricrederanno.
Dopo una lunga pausa ritorniamo ad
assaggiare qualche altro spunto della seconda parte del convegno di Villa
Bruno. Non ho più tempo, ho il treno che mi aspetta, e piena d’esitazioni
improvvisamente mi allontano, saluto il mio caro amico con un fare insolito,
rapido, spedito, più con lo sguardo che con la forma. Al momento del commiato
provo ancora una dolce e amara tristezza per il compimento di una giornata
indimenticabile. Corro via, quasi a lasciarmi dietro tutto il resto. Salgo sul treno, questa volta meno
felice di terminare il viaggio in compagnia dei già noti e numerosi utenti
della circumvesuviana, ma tra una fermata e l’altra vengo assalita dal
rimpianto e dal rimorso di non essermi comportata come avrei voluto. In quello
stesso istante faccio una promessa: tornerò a trovarti e quando lo farò sarà diverso.
Ciao Massimo, a presto.
Angela
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