domenica 19 ottobre 2014

Michael Radford: "La malattia donò a Massimo Troisi una profondità rara e arricchì il suo umorismo"

Il Guardian ha pubblicato un testo di Michael Radford dedicato a Massimo Troisi, in occasione della proiezione del suo ultimo film Il Postino (1994) alla seconda edizione del Festival Italian Cinema London (1-10 aprile 2011, Riverside Studios, Londra). "Dopo 17 anni trascorsi dalla morte di Massimo Troisi, lui è ancora presente nella mia vita, come quando era vivo." racconta Radford. Ecco alcuni passi:

"Praticamente la sua intera esistenza è stata segnata dalla malattia. Giovanissimo, ha contratto una febbre reumatica, la 'malattia dei poveri', che gli ha danneggiato il cuore. A 19 anni aveva già un bypass quadruplo, sapeva che prima o poi avrebbe avuto bisogno di un trapianto. Sopportò tutto senza lamentarsi, ma il dolore gli donò una profondità, rara in un'età così giovane, che ha dato un significato in più al suo umorismo.
  
Ho avuto modo di conoscerlo mentre stavo girando il mio primo film, Another Time, Another Place, sui prigionieri di guerra italiani in Scozia. Avevo già visto Ricomincio da tre, e fui immediatamente colpito dal suo humor. Gli chiesi di partecipare al mio film, ma rifiutò con la motivazione che la Scozia era troppo fredda. Quando uscì in sala, mi richiamò e nel suo modo pensieroso mi disse che gli piaceva moltissimo e che gli sarebbe piaciuto girare con me a Napoli. Gli dissi che a Napoli faceva troppo caldo. Siamo diventati amici, e per otto anni ci siamo incontrati una o due volte all'anno, per discutere su vari progetti, senza troppe aspettative.
  
Alla fine abbiamo trovato qualcosa – un romanzo cileno intitolato Ardiente Paciencia [di Antonio Skármeta, ndr] e siamo andati a Los Angeles per adattarlo. Il Postino è stato scritto in tre settimane allo Shutters Hotel di Santa Monica, perchè Massimo voleva lavorare in un posto dove la gente non poteva riconoscerlo, dove si ricordasse di essere famoso solo quando, di tanto in tanto, andavamo a cena in un famoso ristorante italiano, e i camerieri chiedevano il suo autografo.  
  
[...] Ho scoperto, poi, che gli era stato detto che il suo cuore aveva le dimensioni di un pallone da calcio, ed era necessario un cuore nuovo. Fu praticato un intervento temporaneo, per stabilizzare le sue condizioni e finire il film, in accordo con i medici. Quando è tornato, sembrava stesse bene. Ma non stava bene. Il terzo giorno di riprese, è svenuto. [...]
  
Alla fine, quando finimmo di girare, lui mi disse che aveva un altro appuntamento presso l'ospedale di Harefield, il giorno successivo. Ma mi disse anche: “Sai perchè non voglio davvero questo cuore nuovo? Perchè il cuore è il centro delle emozioni, e un attore è un uomo di emozioni. Chissà che tipo di attore potrei diventare con il cuore di un altro che batte dentro di me?”
  
Non ha mai fatto l'intervento. Ho sentito della sua morte alla radio, il giorno successivo.

Molti credono che Il Postino finisca con la morte del personaggio principale, perchè Massimo era morto. Non è così – è semplicemente così che lo avevamo scritto. E quando Mario Cecchi Gori, il produttore, ha chiesto se finire il film con una morte non fosse troppo deprimente, Massimo ha risposto: <>.
   
E aveva ragione."
  
FONTE: SentieriSelvaggi.it


    
Bell'articolo, al di là di alcune inesattezze.
Ricordo le parole precise di Massimo riportate da Cecchi Gori in un'intervista video, parole che furono la risposta perentoria alle perplessità del produttore sul finale de Il postino. Massimo disse: "Non preoccuparti Vittorio, per il pubblico Troisi non muore mai". E aveva ragione anche su questo. Vero, amici?

Cristiano
  

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