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lunedì 26 gennaio 2015

Carlo Verdone racconta Massimo Troisi e i "nuovi comici", tra femminismo e crisi del cinema

Con l'inizio di "Un sacco bello" e "Bianco, Rosso e Verdone", con l'inizio di Troisi, se vogliamo anche in maniera molto diversa con Benigni, e molto molto diversa con Nuti - perché Nuti soprattutto faceva altre cose - inizia un periodo di commedia fatta dai cosiddetti "nuovi comici", dove i personaggi principali non erano più quelli della commedia matrice anni '60, post boom economico, che rimorchiano, mettono le corna, "Il sorpasso", le cose, i signori... no, non è più così: sono dei perdenti. Quindi tutti i miei personaggi di "Un sacco bello" e di "Bianco, Rosso e Verdone" sono dei personaggi imbranati verso la vita e verso soprattutto la figura femminile. Questo discorso poi andrà avanti con "Borotalco", con "Acqua e sapone", che è una favola carina, con "Io e mia sorella", dove praticamente la figura dell'uomo italiano cambia radicalmente. Non è più  quella di colui che ha lo scettro in mano e che si circonda di un mare di donne piacenti, lolite, fatali, penso a Catherine Spaak, penso a Stefania Sandrelli, penso a Claudia Cardinale in certi film... no, siamo noi di fronte ad una donna che, grazie all'esperienza del femminismo, aveva cambiato le regole del gioco e noi avevamo di fronte a noi come una specie di personaggio emblematico, di fronte al quale c'era soggezione. Quindi questo abbiamo raccontato, secondo me, soprattutto nei primi anni degli anni '80 e soprattutto abbiamo fatto una grande opera, secondo me: abbiamo salvato il cinema dalla chiusura definitiva; perché negli anni '80, nessuno se lo ricorda, erano solo sale a luci rosse, c'era una crisi economica spaventosa; e - modestamente - il mio lavoro, quello di Massimo, quello di Nuti, quello di Benigni, quello di Nichetti all'inizio, e di altri, tenne in piedi in qualche maniera la situazione che per fortuna poi cambiò in meglio. 

Carlo Verdone
al Con-Vivere Carrara Festival 2011
   

domenica 11 novembre 2012

Dai giornali dell'epoca: "Morto Troisi, viva Troisi!" col senno di poi, secondo il Corriere della sera (VIDEO)

Un po' di amarcord: ripeschiamo oggi un vecchio articolo del Corriere della Sera datato 18 luglio 1994.
  
 
Troisi: al di la' dell' estremo sberleffo

C'e' un gioco antico e lancinante nel quale tutti ci siamo crogiolati, almeno una volta nella vita. E quello di immaginare il proprio funerale, la straziante cerimonia di cui si e' protagonisti assenti. Ci si abbandona a questa fantasia spinti da un misto di masochismo e di narcisismo. Si soffre, certo, nel "vedere" lo strazio dei parenti, il dolore attonito degli amici, lo sgomento di folle commosse accorse a darci l' estremo tributo. Ma ci si compiace nel rappresentare il grande amore di cui siamo stati degnamente depositari. In realta' la strana tentazione di farsi sfilare davanti le scene della mesta cerimonia nasce soprattutto dal bisogno inconscio di tenere a bada la paura. La paura di morire appunto. Con il gioco innocente e doloroso del funerale ci si illude di fermare il tempo su di noi, ma anche di restare registi di quell'evento estremo che per definizione ci esclude. E se saremo li' a dirigerla, la morte non potra' decidere più di noi stessi. Tutto questo ha certamente contribuito ad accrescere la grande commozione degli spettatori che hanno seguito giovedi' su Raitre il finto funerale che Massimo Troisi aveva girato su se stesso ("Morto Troisi, viva Troisi!"). Massimo che era un uomo di spettacolo si è potuto permettere di sporgere il gioco al di là del sogno a occhi aperti.
Ha fissato in un film il suo dolente immaginario e ha chiamato a interpretarlo i suoi amici più cari. È struggente scoprire adesso, col senno di poi, quanto fosse grande il bisogno del grande attore di esorcizzare quella morte che, per via della sua malattia, doveva sentire molestamente vicina. Si diverte, il compianto regista, a immaginare, vecchi e rintronati, Benigni, Nichetti, Verdone e Arbore. I quattro sono ospiti di una casa di riposo per artisti intitolata proprio a Massimo Troisi. Verdone è su una sedia a rotelle, Arbore completamente sordo, Nichetti autistico e Benigni più delirante che mai. Parlano di lui, di Massimo, gli amici artificiosamente invecchiati. "Ultimamente aveva difficoltà per tante funzioni - dice Verdone - problemi alla prostata...". Ed è come se Troisi, attribuendosi quelle malattie tipiche degli anziani, volesse assicurarsi una vecchiaia. Lui che sentiva la sua morte giovane. Al tempo stesso però sembra voler profeticamente sottolineare che lui non ci sarà più quando i suoi amici saranno così malridotti. Il film è dolcissimo e struggente. "Com'era Troisi?" domanda una voce fuori campo a un Renzo Arbore rincitrullito: "Meglio vivo" risponde lui. Non si può che, desolatamente, convenire.
Schelotto Gianna
Fonte: Corriere della sera

Qui sotto trovate la versione integrale del mediometraggio "Morto Troisi, viva Troisi!"