Massimo, dopo aver girato “Il postino”, a Salina ha lasciato un pezzo
della sua anima: ancor oggi – a vent’anni dalla sua morte e dall’uscita
del film “Il postino” – turisti italiani e stranieri gli dedicano dei
bigliettini che lasciano davanti alla casa, frasi lunghe, poesie, un
semplice “Ciao Massimo” accompagnato dal disegno di un cuoricino o di un
fiore.
Pippo – proprietario della “casa di Neruda” – a quel film è
indissolubilmente legato, perché quella casa, nell’opera del regista
Michael Redford, ha un ruolo centrale. Pippo è molto più del
proprietario: è la “memoria” di quella dimora. È stato lui, tanti anni
fa, a ristrutturarla, a rifare la facciata con le terre e le malte
dell’isola, una facciata che, parecchio tempo dopo, avrebbe colpito la
produzione del film. È stato lui – in particolari momenti esistenziali –
ad andarci a vivere per lunghi periodi e a chiudere con il mondo.
Pippo Cafarella ha molti punti in comune col “postino” Mario
Ruoppolo-Massimo Troisi, stesse ispirazioni, stessa ideologia di
sinistra, stesso impegno contro la politica balorda del secondo
dopoguerra. Con una differenza: la malinconia di Mario Ruoppolo ha il
pudore della povera gente dei secoli scorsi. La malinconia di Pippo
Cafarella è quella del borghese di fine Novecento.
Ci sediamo sul sedile di ceramica posto davanti a questa dimora color
tramonto, dove sono state immortalate le leggendarie disquisizioni
poetiche tra il Vate Neruda-Noiret e il “postino”: nel film si parlava
di metafore e di amore per la bella Beatrice Russo (Maria Grazia
Cucinotta), mentre le vibranti note di un tango argentino si
sprigionavano dal grammofono antico.
Da questo poggio si domina la baia di Pollara, il costone roccioso e
la spiaggia, mentre l’acqua
si distende sulla sabbia e il suono del mare è quello riprodotto da Mario con i rudimentali registratori dell’immediato dopoguerra. In primo piano i colori delle buganvillee, degli ulivi e dei gerani, in secondo la tavolozza azzurra leggermente striata dal bianco spumoso lasciato da una barca a vela.
si distende sulla sabbia e il suono del mare è quello riprodotto da Mario con i rudimentali registratori dell’immediato dopoguerra. In primo piano i colori delle buganvillee, degli ulivi e dei gerani, in secondo la tavolozza azzurra leggermente striata dal bianco spumoso lasciato da una barca a vela.
“Vedi
quegli scogli? Sono abitati dalle Diomedee, mitici uccelli che la notte
emettono un suono straziante. Una volta si pensava che quel canto fosse
attribuibile al fantasma di una bellissima donna buttatasi nel pozzo di
questa casa per una delusione d’amore”.
Leggende che si perdono nella notte dei tempi e che si intrecciano
col mito antico e moderno. Il mito di Omero e di Troisi, di Neruda e del
Nobel per la letteratura e del socialismo romantico.
Pippo fruga nelle tasche, prende una lettera dedicata all’attore, e
la legge, mentre la brezza sale dal mare, e lui intercala pensieri
antichi e presenti con le parole contenute nella missiva.
“Qui sono nato e qui voglio essere seppellito. Qui ho trascorso la
mia infanzia, qui le mitiche stagioni della raccolta delle olive.
Ricordo i contadini, dopo la potatura, scaraventare a mare i tronchi di
ulivo che affioravano dopo qualche minuto. Qui feci il mio Sessantotto,
decine di hippy di tutto il mondo che predicavano la pace e l’amore
libero vennero ospitati da me, qui vengo per ritrovare me stesso, non
d’estate (quando affitto la casa) ma nelle fredde giornate d’inverno,
quando le acque piovane e marine si incontrano e sbattono sui vetri e il
vento si insinua tra il vulcano e la roccia. Solo allora comincio a
dipingere e ad abbozzare versi”.
Caro Massimo,
parlavamo la stessa lingua, ricordi?, che disordini di quadri
nelle stanze di questa casa magica, quando tu hai scelto il mio da
mettere in scena… non so se “minchia pazza” era una metafora, ma tu
ridevi… ed io pure. Grazie di tutto quello che hai detto nel film, mi
hai dato tanta forza… e che orgoglio per me che quelle belle parole
partissero da questa casa che, come tu stesso mi hai detto, era
importante, perché doveva rappresentare la poesia.
“Mi hanno offerto un sacco di soldi per venderla. A un certo punto,
per togliermeli davanti ho sparato cifre pazzesche. Non se ne è fatto
nulla, sono felice. Non mi interessano i soldi, sarebbe come vendere
l’anima. Da alcuni anni, approfittando del successo del film, stanno
cercando di speculare attorno alla casa con un progetto di
cementificazione al quale mi sono opposto strenuamente. In parte sono
riuscito a fermarlo, in parte no, la battaglia continua”.
Mi hai dato ancora più forza e più voce per potere dire no. Mi
hai dato la forza di alzarmi ancora in piedi, anche quando mi facevano
male le ossa.
Ma in Sicilia – anche nell’”Isola in cielo” – continuare certe
battaglie porta a pagare prezzi altissimi. Prima hanno cercato di
farglielo capire con le buone,
Pippo-smettila-Non-metterti-contro-i-mulini-a-vento. Niente da fare.
Quindi sono passati alle vie di fatto: lo hanno aspettato e lo hanno
aggredito a pugni, a calci e a colpi di bastone per indurlo alla
ragione, niente da fare anche stavolta. Lui non demorde e passa al
contrattacco, puntando l’indice contro certi personaggi della terraferma
che, a suo dire, stanno cercando di mettere le mani sull’isola. Certo,
alle Eolie i vincoli di inedificabilità sono piuttosto rigidi. Ma solo
per le volumetrie “fuori terra”. Per gli scantinati e i piani interrati
l’edificazione è consentita. E così loro, i “civilizzati”, hanno trovato
l’escamotage per farla franca: richieste a bizzeffe per costruire
sottoterra. Bunker? No, villette in cemento armato. Con tanto di vista
sul mare. Come nei santuari della modernità e dello sviluppo.
Ho parlato, anche se loro cercano di togliermi la voce, perché
non ho ancora imparato quello che insegnano: vedere, sentire e parlare
nel giusto modo, ma senza dire… con buona resa… nei giusti giri di
affari convenienti, comodi e protetti…
Dobbiamo parlare con forza, adesso, sai! Perché quando non potranno prendere questo tempio, loro, lo distruggeranno…
E alle parole “lo distruggeranno”, Pippo fa una pausa lunghissima,
come se volesse trattenere tutta la rabbia e tutte le lacrime che ha in
corpo. Poi legge le ultime righe della lettera.
Questa tenera, rosea poesia la mostrerò a tutti oggi, semplice e naturale come te, nel tuo ricordo…
Intanto il sole volge al tramonto e assume i colori struggenti della
casa, e gli uccelli, dopo una giornata di felicità, tornano nei loro
alberi. Le giuste armonie. Che Pippo vuole salvare, perché l’Isola in
cielo continui ad essere quella dei poeti. Anche questa volta lascerò
qui un pezzo della mia anima.
Luciano Mirone
http://www.linformazione.eu
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