Intervento d’introduzione e commento relativo alla proiezione del docufilm Non ci resta che ridere, avvenuta lo scorso martedì 12 agosto presso l’ex Convento dei Minimi di Roccella Jonica (RC)
L’incontro di questa sera vuole essere un’occasione per riflettere su
quanto sia evidente al momento attuale, all’interno del mondo dello
spettacolo come nella vita di ogni giorno, il vuoto lasciato dalla
scomparsa, avvenuta vent’anni fa, di una personalità certo particolare,
per non dire unica, come è stata quella di Massimo Troisi, tant’è che
oggi vi sono molti suoi imitatori ma nessun vero e proprio erede. Molti
hanno tentato di accostarsi alla sua figura, ricavarne una qualche
ispirazione, compiaciuta e compiacente, ma nessuno è riuscito a
riproporre quel suo modo di porsi in scena così schivo ed elegantemente
naturale, il suo umorismo sottile e discreto, intriso di forte umanità. E
questo perché nella stessa persona coesistevano tre elementi
perfettamente combinati fra loro senza che l’uno prevaricasse
sull’altro, formando un ensemble empatico di rara efficacia,
ovvero la maschera, l’uomo e il divo. Quest’ultima condizione era una
naturale conseguenza, senza alcuna artificiosità preposta al riguardo,
della grande notorietà assunta da Troisi man mano che la sua carriera
andava avanti, in particolare dopo il debutto cinematografico, regista,
attore e sceneggiatore (insieme ad Anna Pavignano), con Ricomincio da tre, 1981.
Prima vi erano state le esperienze teatrali con Enzo Decaro e Lello Arena (I saraceni, poi divenuti La Smorfia),
che dal palcoscenico verranno trasferite, tra la seconda metà e la fine
degli anni 70 , in una serie di spettacoli televisivi (Non Stop/Luna Park),
per una messa in scena apparentemente elementare, ma idonea a
richiamare in egual modo tanto le caratteristiche proprie della
tradizione napoletana quanto quelle del cabaret.
Con il suo folgorante esordio cinematografico Troisi si è calato nei
panni di un moderno Pulcinella, riallacciandosi alla “napoletanità” come
riferimento culturale, ma liberandola da preconcetti o sovrastrutture
retoriche e ciò viene opportunamente sintetizzato dai versi di una nota
poesia di Benigni dedicata all’amico Massimo: “Con lui ho capito la
bellezza di Napoli, la gente, il suo destino e non mi ha mai parlato
della pizza e non mi ha mai suonato il mandolino”. Se la mimica facciale
e gestuale, pur con una certa compostezza, poteva ricordare il grande
Totò, è indubbio, anche se è bene sottolineare come lo stesso Troisi
abbia sempre mantenuto le distanze dal confronto, che il suo essere
attore, i suoi monologhi sapientemente diluiti, con accorte pause e
caratteristici borbottii, rivelassero una certa assonanza con Eduardo De
Filippo. Un confronto reso possibile anche da una particolare ironia venata di
amarezza e malinconia, idonea a celare le contraddizioni di un uomo del
Sud che vorrebbe superare l’atavica rassegnazione e i luoghi comuni che
gli pesano sul capo, e con fatica si appresta ad accettare il nuovo che
si fa avanti, in particolare lasciandosi alle spalle il fardello del
facile folklore. Troisi ha quindi affrontato nelle sue opere una
raffinata introspezione dell’animo umano e dei sentimenti,
rappresentando tematiche complesse quali in primo luogo l’insicurezza
della propria generazione, che, tra timori e dubbi, sembrava soffocata o
comunque spaventata dai suoi stessi sogni ed ideali espressi poco
prima, ritirandosi confusa nel tranquillo buon nido borghese, avvolti e
protetti dalla bambagia delle proprie idiosincrasie.
Nel docufilm che vi proponiamo questa sera, Non ci resta che ridere,
diretto da Carlo Reposo, potrete assistere ad una serie d’interventi
televisivi dell’artista partenopeo, interviste, semplici comparsate, e
lo si è scelto proprio per evidenziare quella coincidenza di cui vi ho
parlato prima, fra maschera, uomo e divo.
Troisi,
infatti, avesse o meno un copione alle spalle, poneva il suo modo
d’essere di fronte ai vari accadimenti, quali la notorietà improvvisa o
il clamore suscitato dalla sua disinvoltura nel fare cinema, sfruttando
la capacità di trasformare le incertezze registiche in empatia.
Lo vedremo duettare con Pippo Baudo, offrendo spesso alla diretta
televisiva un’atmosfera piacevolmente surreale e poetica, affrontare
problematiche di natura politica o prendere in giro, con fare sottile ed
insinuante, Gigi Marzullo.
Prima della proiezione, potrete poi ascoltare Raffaele Vigliarolo al
pianoforte, che eseguirà il tema portante (Luis Bachalov, Sergio
Endrigo, Riccardo Del Turco e Paolo Margheri, Oscar 1996 miglior colonna
sonora) dell’ultimo film interpretato da Troisi, Il postino,
diretto da Michael Radford, che possiamo tranquillamente considerare
come il testamento cinematografico di un uomo che ha saputo porre la sua
arte al servizio della vita, e ci ha fatto capire come, a volte, con un
semplice sorriso sia possibile stemperare la consapevolezza dei limiti e
dei timori propri di ogni essere umano.
Antonio Falcone
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