mercoledì 11 giugno 2014

Michael Radford: Massimo Troisi era un uomo senza paura

“Se la commissione italiana avesse proposto Il postino come miglior film straniero all'Academy, allora avremmo sicuramente vinto l'Oscar. E' il mio lavoro più celebre e popolare. C'erano lunghe pause. Dovevamo fermarci a causa della salute di Massimo Troisi. Lui arrivava, diceva le sue battute e poi andava a sedersi. Ho lavorato con una controfigura per tanto tempo. Avremmo dovuto completare le riprese de Il postino in sette settimane. Alla fine ne sono servite quindici, perché ci fermavamo sempre”. 

Michael Radford 
 
Quanto questo continuo slittamento di riprese ha creato altri problemi? Che tipo di problemi?
Parecchio. Gli attori rischiavano di perdere altri ingaggi: alcuni hanno dovuto lasciare il set. Poi un giorno Linda Moretti, che interpreta la zia, si è rotta un braccio. Anche lei improvvisamente era fuori combattimento per tre settimane. Ecco sì, quelle riprese furono un incubo. Non so nemmeno come siamo riusciti a finirlo, da qualche parte dentro di me mi dico che ci siamo riusciti per magia. 
 
Dopo vent'anni qual è la qualità che ricorda di più di Massimo Troisi?
Che era un uomo senza paura. Massimo voleva davvero fare questo film nonostante la sua malattia. Sul set avevamo bombole di ossigeno, c'era perfino un elicottero pronto a trasportarlo in ospedale se fosse successo qualcosa. Lui era molto debole, dopo aver mangiato aveva bisogno di dormire quattro ore perché il suo processo di digestione era molto lento. Un giorno a Roma ho registrato la sua voce e realizzato diversi primi piani. Una serie di immagini che abbiamo realizzato nel caso la sua malattia fosse peggiorata. 
 
Nel senso che sapevate che la sua morte era un rischio? 
Sapevamo che era molto malato, non sapevamo che da lì a poco sarebbe morto. Nemmeno lui lo sapeva: aveva un cuore pronto per il trapianto a Londra. Dunque ecco, mi ricordo soprattutto il suo coraggio e la sua componente “napoletana”.
 
Mi parli di più di questa "componente napoletana"...
Un discorso legato alle emozioni. Ricordo che parlavamo di questo cuore che lo attendeva all'estero e del fatto che secondo lui lo avrebbe cambiato. Mi diceva: “Io sono un attore e il mio lavoro è recitare con le emozioni. Le emozioni vengono dal cuore: dunque che tipo di attore sarò senza le mie emozioni?”. Ed era molto serio, non stava scherzando! 
 
Quanto Il postino ha segnato la sua carriera? Dopo due decenni torna mai a guardare quel film? 
Tendo a non guardare i miei film di solito. Non guardo Il postino da dieci anni ed è l'unico dei miei film che mi ha portato agli Oscar. Credo che faccia parte di una traiettoria che continuo con alcuni miei lavori, quelli a cui sono più legato: storie piccole di persone ordinarie ambientate in diverse culture. Ho iniziato con Another Time, Another Place, una storia d'amore che era ambientata in Scozia. Poi ho fatto "Il postino" in Italia. Qualche anno fa ho girato questo piccolo film in Spagna: si intitola "La mula" ed esplora l'epoca della guerra civile. Sto ancora combattendo in tribunale per finirlo, ho avuto problemi con i produttori che sono stati dei veri e propri gangster.

Ha intenzione di continuare questo percorso?
Sì, mi piacerebbe girare un film in Pakistan. Si tratta di un progetto molto personale in cui proverò a dare un volto a queste persone che vediamo tutte le sere nei notiziari: quelle che bruciano la bandiera dell'America o odiano l'occidente. Voglio mostrarli nella loro quotidianità: vivono la loro vita in circostanze durissime, ma allo stesso tempo si innamorano anche loro, si tradiscono, hanno sogni e ambizioni, vanno al lavoro, vanno a scuola. Fanno parte del mondo in cui viviamo quindi mi interessa molto raccontarli.


  

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