“Se la commissione italiana avesse proposto Il postino come
miglior film straniero all'Academy, allora avremmo sicuramente vinto
l'Oscar. E' il mio lavoro più celebre e popolare. C'erano lunghe pause. Dovevamo fermarci a causa della
salute di Massimo Troisi. Lui arrivava, diceva le sue battute e poi
andava a sedersi. Ho lavorato con una controfigura per tanto tempo. Avremmo
dovuto completare le riprese de Il postino in sette settimane. Alla
fine ne sono servite quindici, perché ci fermavamo sempre”.
Michael Radford
Quanto questo continuo slittamento di riprese ha creato altri problemi? Che tipo di problemi?
Parecchio.
Gli attori rischiavano di perdere altri ingaggi: alcuni hanno dovuto
lasciare il set. Poi un giorno Linda Moretti, che interpreta la zia, si è
rotta un braccio. Anche lei improvvisamente era fuori combattimento per
tre settimane. Ecco sì, quelle riprese furono un incubo. Non so nemmeno
come siamo riusciti a finirlo, da qualche parte dentro di me mi dico
che ci siamo riusciti per magia.
Dopo vent'anni qual è la qualità che ricorda di più di Massimo Troisi?
Che
era un uomo senza paura. Massimo voleva davvero fare questo film
nonostante la sua malattia. Sul set avevamo bombole di ossigeno, c'era
perfino un elicottero pronto a trasportarlo in ospedale se fosse
successo qualcosa. Lui era molto debole, dopo aver mangiato aveva
bisogno di dormire quattro ore perché il suo processo di digestione era
molto lento. Un giorno a Roma ho registrato la sua voce e realizzato
diversi primi piani. Una serie di immagini che abbiamo realizzato nel
caso la sua malattia fosse peggiorata.
Nel senso che sapevate che la sua morte era un rischio?
Sapevamo
che era molto malato, non sapevamo che da lì a poco sarebbe morto.
Nemmeno lui lo sapeva: aveva un cuore pronto per il trapianto a Londra.
Dunque ecco, mi ricordo soprattutto il suo coraggio e la sua componente
“napoletana”.
Mi parli di più di questa "componente napoletana"...
Un
discorso legato alle emozioni. Ricordo che parlavamo di questo cuore
che lo attendeva all'estero e del fatto che secondo lui lo avrebbe
cambiato. Mi diceva: “Io sono un attore e il mio lavoro è recitare con
le emozioni. Le emozioni vengono dal cuore: dunque che tipo di attore
sarò senza le mie emozioni?”. Ed era molto serio, non stava scherzando!
Quanto Il postino ha segnato la sua carriera? Dopo due decenni torna mai a guardare quel film?
Tendo
a non guardare i miei film di solito. Non guardo Il postino da dieci
anni ed è l'unico dei miei film che mi ha portato agli Oscar. Credo che
faccia parte di una traiettoria che continuo con alcuni miei lavori,
quelli a cui sono più legato: storie piccole di persone ordinarie
ambientate in diverse culture. Ho iniziato con Another Time, Another
Place, una storia d'amore che era ambientata in Scozia. Poi ho fatto "Il
postino" in Italia. Qualche anno fa ho girato questo piccolo film in
Spagna: si intitola "La mula" ed esplora l'epoca della guerra civile. Sto
ancora combattendo in tribunale per finirlo, ho avuto problemi con i
produttori che sono stati dei veri e propri gangster.
Ha intenzione di continuare questo percorso?
Ha intenzione di continuare questo percorso?
Sì,
mi piacerebbe girare un film in Pakistan. Si tratta di un progetto
molto personale in cui proverò a dare un volto a queste persone che
vediamo tutte le sere nei notiziari: quelle che bruciano la bandiera
dell'America o odiano l'occidente. Voglio mostrarli nella loro
quotidianità: vivono la loro vita in circostanze durissime, ma allo
stesso tempo si innamorano anche loro, si tradiscono, hanno sogni e
ambizioni, vanno al lavoro, vanno a scuola. Fanno parte del mondo in cui
viviamo quindi mi interessa molto raccontarli.
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