Ringraziamo
di vero cuore l'amico di Massimo (anche lui come noi lo scrive così, senza cognome), Angelo Orlando, che con sincero piacere ci ha
permesso di condividere qui sul nostro blog il suo splendido scritto.
Ci saluta e augura buona fortuna al nostro progetto.
Lui, splendido Amedeo in "Pensavo fosse amore invece era un calesse", parla di Massimo in modo semplice e genuino, senza la smania di ostentare un'amicizia. Infatti dopo poche righe il cognome "Troisi" compare con la stessa naturalezza con cui era stato omesso, quasi con rispetto, ossequio ad un genio e ad un grande uomo. Al quale ha voluto bene ed è stato ricambiato.
Lui, splendido Amedeo in "Pensavo fosse amore invece era un calesse", parla di Massimo in modo semplice e genuino, senza la smania di ostentare un'amicizia. Infatti dopo poche righe il cognome "Troisi" compare con la stessa naturalezza con cui era stato omesso, quasi con rispetto, ossequio ad un genio e ad un grande uomo. Al quale ha voluto bene ed è stato ricambiato.
Cristiano
Lunedì 1° agosto 2011
MASSIMO E ME
Era un
po’ che ci giravo intorno. Parlare di Massimo.
Ogni
tanto, qualcuno me lo chiede.
“Com’era
Massimo Troisi?”
Il
silenzio che ne segue non ha a che fare con un trattenere qualcosa
che ha dello speciale o chissà che, un vuoto dovuto a una difficoltà
nel dire com’era una persona che hai conosciuto tanto tempo fa.
Massimo è presente nella mia vita, come una specie di guida
invisibile che mi corregge, mi spinge o mi frena. È una piccola e
grande luce che, come una stella della nostra galassia, può essere
raggiunta con quello sforzo d’immaginazione che troppo spesso
evitiamo di fare. Un pensiero...la natura è l'eterno. Questa natura
che può auto-generarsi. "Uomini e Dei" un tempo
passeggiavano insieme, si aiutavano, si facevano i dispetti,
giocavano e uniti in un bel girotondo, producevano una scena
straordinaria.
Azione!
E
l'uomo entra in scena.
Ovvero,
passa dal nulla al nulla.
"Com'era
Massimo Troisi?"
Qualcuno
me lo ha chiesto ultimamente.
E
io come al solito, sorrido e prendo tempo. E questo tempo, molto
spesso, mi porta a dire due o tre cose per continuare ad agganciarmi
a una sensazione che, a seconda di come sto, è vicina e distante.
Come una stella, appunto. Vicina per lo sguardo, perché quella luce
la posso vedere, distante perché, come una stella lontana anni luce,
è irraggiungibile dalla mia piccola postazione terrestre.
Ma
da qui, ora, in una disoccupazione forzata, con tanta voglia di
restare in contatto con uno spirito vero e non cedere a quella che
ormai, simpaticamente chiamo la mia sorella pigrizia, cerco di fare
qualcosa di utile per me, magari anche per chi, la prossima volta, mi
chiederà: “Ma com’era Massimo Troisi?
Un
po' di tempo fa, una ragazza mi cerca sul web, mi trova e si
presenta: "Sono una giornalista. Sta per uscire una collana sui
film di Massimo Troisi. Le andrebbe di rispondere a qualche domanda?"
Allora penso che forse questa è un'occasione buona. Mi faccio
mandare le domande e mi prendo tempo. Scrivo risposte e queste
risposte mi sembra che non bastino mai. E allora mi prendo altro
tempo, fino a quando la ragazza giornalista (prima o poi leggerà
anche lei questo post) mi sollecita. Mi dice che è quasi urgente e
allora, mi affretto e tolgo tempo al mio tempo, scrivo, scrivo
recuperando sensazioni, quante cose da dire, da lasciar andare. E poi
si sa che sono un traghettatore di attimi. Li trasporto dal fiume del
passato al mare del presente. E alla fine scrivo, e scrivendo, gli
occhi si riempiono di lacrime, però sono contento. Strano cocktail.
Gioia e lacrime. Poi premo invio. Evito di rileggere, ma sento quella
bella soddisfazione che provavo anche a scuola quando consegnavo il
compito in classe: finito!
La
giornalista mi risponde subito. Mi dice che quello che è ho scritto
è molto bello e che le piange un po' il cuore a doverlo ridurre
perché "lo spazio è molto poco rispetto a quello che ci
sarebbe da dire..."
Io
un po' me lo aspettavo, ma in cuor mio, sono contento. Grazie a lei
ho avuto il coraggio di andare lì dove una perdita ora ha acquisito
quella distanza giusta per riconoscerla come un grande
insegnamento. Ho approfittato di un'intervista per estrarre
qualcosa che non mi aveva lasciato neanche il tempo di soffrire.
Già...
C'è
un racconto di Dostoevskij, inserito ne "I Fratelli Karamazov",
che parla di una madre che va da padre Zosima a gridare tutto
il suo dolore. Il buon prelato cerca di consolarla usando argomenti
tradizionali della fede, cioè della giustificazione di Dio. La donna
però, non riesce a trovare un argine al suo dolore, non vuole la
giustificazione di Dio, non ha bisogno di essere consolata. Padre
Zosima ad un certo punto, abbandona il suo punto di vista di pastore
di anime. Si mette sul suo stesso piano e le dice: "Vai, piangi
tutte le tue lacrime e chissà, che un giorno le tue lacrime non si
convertano in qualcosa di molto prezioso!"
Chi
lo sa perché, a volte, abbiamo bisogno di così tanto tempo prima di
ritrovare il passaggio che ci fa comprendere che è giusto piangerle
davvero tutte le nostre lacrime.
Qualcosa
di prezioso.
E
allora, mi vado a rileggere quello che avevo scritto. E penso che
qui, in questa zona che mi sono ricavato, lo spazio non è poco.
Posso pubblicare esattamente quello che avevo scritto. E allora lo
ritiro fuori. Lo rileggo, faccio copia e incolla e poi... poi
aggiungo, correggo, cambio, tolgo e alla fine, di quella vecchia
intervista, rimane ben poco.
Quel
dvd poi l'ho cercato. Non l'ho trovato. Non lo so quello che è
rimasto di ciò che avevo scritto. Quelle emozioni recuperate da un
passato neanche troppo lontano, cedono il passo a quello che ora è
il miracolo di un nuovo istante del qui e ora, fatto di un'altra
notte lontano da Roma, accanto al ricordo dell'ultima poesia che mi
ha regalato Massimo, ma questa, è un'altra storia.