Come vivevate in famiglia il talento di suo fratello Massimo?
Massimo
non aveva potuto vivere appieno la sua giovinezza per i problemi di
cuore. Eravamo sei fratelli: tra me e lui c’erano sei anni di
differenza, che quando si è piccoli sono molti. Lui mi seguiva quando
giocavo a calcio, la sua passione, ma non poteva praticarlo per via
della malattia. Aveva un talento innato, ma in famiglia lo abbiamo
scoperto insieme agli altri.
Non
amava dimostrare chi era: caratterialmente era introverso, ma sapeva
ascoltare con attenzione le persone che gli stavano intorno, capire la
società, cogliere le cose al volo, e ironizzarci. Era un attore
drammatico che usando l’ironia, sapeva sdrammatizzare e far ridere. La
presenza massiccia di giovani che lo conoscono, anche se non c’è più,
senza aver avuto l’opportunità di vedere altro che i suoi film, è
significativa del segno che ha lasciato. Precise espressioni, modi di
dire garbati, mai volgari, li usano oggi nel linguaggio corrente. Questo
dimostra che lui è sempre attuale, è diventato una sorta di classico,
come nella letteratura. Ogni
film che faceva era un film nel film, spesso senza copione, con estro e
improvvisazione, tanto che quando le riprese finivano, dispiaceva a
tutti, dagli attori alle maestranze.
Portate avanti una sorta di eredità di Massimo come famiglia?
No,
non la portiamo avanti noi come famiglia, ma la gente che lo ha amato e
lo ama. Noi guardiamo cosa accade, se la gente porta avanti iniziative
dettate dall’amore per lui o piuttosto per essere al centro
dell’attenzione o fare business. Nemmeno Massimo amava essere al centro
dell’attenzione, ritirava dei premi se glieli davano, ma non amava la
vita mondana. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione negli
affetti, cercava affetto. Lo stesso accade a me: se mi sento amato
stando qui ci sto volentieri, se mi sento voluto solo in quanto fratello
di Massimo, preferisco andarmene.
L’eredità morale per i giovani?
Seguendo
l’esempio di Massimo, quella di non mollare. Massimo era la prova
vivente che si può partire da zero, anche se il primo film lo intitolò
"Ricomincio da tre". Nella nostra famiglia nessuno faceva quel mestiere,
né nessuno lo poteva raccomandare. Peraltro le raccomandazioni in questo
mestiere non servono, anzi sono negative per chi le fa che ci mette la
faccia e la perde, perché è il pubblico che decreta il successo, che
decide se vali o meno.
Nel 2014 il ventennale della morte di Massimo: che obiettivi ci si prefiggono per allora?
Diciannove
anni fa il cuore abbandonava Massimo, però lui di cuori ne ha trovati
milioni. È importante saper coltivare questo affetto, non deludere tutti
coloro che lo amano. C’è molta gente che lo ama alla follia. Non
bisogna deludere coloro che lo amano: ho scoperto che se lo studiano,
conoscono le sue interpretazioni, il carattere, le battute. Io stesso me
ne stupisco.
Cosa amano di più del suo carattere?
L’elemento
prioritario del suo carattere era la semplicità, l’essere vero e
insieme umile e schietto. Per stare bene con gli altri è importante
stare bene con se stessi e questo è bene che lo sappiano anche i
giovani. Lo dico da sessantenne, ma il problema è che i giovani di oggi
sono condizionati dai falsi miti televisivi e dalla società arrivista
che li indirizza male. I ragazzi hanno bisogno di consigli disinteressati, spesso non
sanno distinguere dove c’è il buono e dove c’è il marcio. Noi adulti
abbiamo il compito di aiutarli, di cercare di indirizzarli. Devono
sapere che se vincono una manifestazione, non vuol dire che abbiano
raggiunto la notorietà e possono adagiarvisi. Questa può accadere per un
colpo di fortuna, e poi? Il difficile è mantenerla, cavalcarla. Serve
forse, diventare delle meteore, per un momento fortunato, senza
coltivare il talento, senza impegnarsi, studiare? Non dobbiamo
illuderli, devono sapere che è importante impegnarsi e fare un passo
alla volta, gradualmente. Forse Massimo è stato facilitato dall’essersi
circondato di persone genuine come lui.
Il rapporto di Massimo con la notorietà?
Era
disincantato, anzi la notorietà lo infastidiva. Diceva sempre: “Io
faccio delle cose, sono qui, ma se domattina mi sveglio e torno il
Massimo Troisi di San Giorgio a Cremano, figlio di…, sto bene lo
stesso”. Aveva una sorta di rifiuto verso la notorietà, non era nelle
sue corde. Amava circondarsi di amici a casa, come nel lavoro. Basta
guardare il cast dei film: Ettore Scola, così come Benigni e Mastroianni
erano amici. Massimo diceva giustamente: “col successo se uno era
imbecille prima, diventa ancora più imbecille”. In
famiglia siamo discreti e attenti anche a quello che diciamo. Il
successo di Massimo non ci gratificava, ma dicevamo che dopo aver
sofferto tanto nella giovinezza, ora faceva un lavoro che gli piaceva.
Qualunque lavoro avesse fatto, ne saremmo stati felici. Non abbiamo mai
pensato di essere i fratelli o i parenti dell’attore. Essere
il fratello anzi poteva essere considerata una fatica. Anche il più
grande dei miei figli sa recitare e assomiglia molto allo zio. Non ha
voluto fare l’attore proprio per evitare il paragone e le aspettative
che avrebbe comportato l’assomigliargli. Ha preferito la professione di
avvocato penalista, un lavoro duro che fa con passione, fortunatamente.
Io non ho avuto la stessa opportunità: a suo tempo ho dovuto adattarmi,
come anche Massimo dice in un film, in cui parla del “fratello
disoccupato”.
Massimo vi metteva al corrente di quello che faceva?
Era
molto discreto, non ostentava il suo lavoro, difficilmente parlava di
ciò che stava facendo. Noi eravamo curiosi, come quando gli chiesi del
film che stava preparando con Benigni. Quando era a casa, tornava nella
sua dimensione primordiale. Quando tornava, la casa diventava un
santuario, un continuo viavai di amici. Non avevamo la possibilità di
stare tutti insieme, cosicché lui aveva trovato un escamotage: veniva di
notte e andava via all’alba. Si parlava della salute, dei nipoti.
Era
una persona concreta, come un po’ tutti in famiglia, e quindi non
parlava dei progetti se
non quando erano conclusi. Non abbiamo avuto
delle delusioni perché non ci siamo mai illusi. Nella
vita si devono creare delle aspettative, ma su questioni concrete,
senza voli troppo
pindarici.
Parlava mai del suo rapporto con le donne? No,
non se ne faceva vanto. Ne abbiamo conosciuta qualcuna, ma non sapevamo
mai dei suoi reali rapporti, né quanto sarebbero durati. Ne aveva
intorno tante. Talvolta venivamo a sapere delle sue frequentazioni
femminili dai giornali.
C’era
qualcuno a cui guardava con particolare ammirazione?
Non
aveva dei modelli da imitare, ma per quanto ne so, amava molto Pasolini
che gli aveva dato delle forti emozioni. Massimo stimava le persone
vere, per lui erano fondamentali, per il piacere della battuta, dello
scherzo. Tentare di imitarlo, come alcuni oggi fanno è penalizzante,
perché è l’originale quello che vale.
Intervista di Floriana Mastrandrea
peccato che ci abbia lasciato troppo presto...e' stato il nostro orgoglio!
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