Siamo
felici di ospitare, dietro sua gentile concessione, stralci
dell'articolo che Gianni Minà scrisse a dieci anni dalla scomparsa di
Massimo Troisi.
Nel mese di giugno del 2004, sono stati dieci anni
che Massimo Troisi se n'è andato anzitempo da questo mondo. Sempre
nell'anno che è appena trascorso, Massimo avrebbe compiuto
cinquant'anni. Le manifestazioni per ricordarlo sono state poche e, in
alcuni casi, modeste e provinciali, come una serata su Rai Tre
organizzata dal Comune di San Giorgio a Cremano dove c'era tutto meno lo
spirito e l'eredità di Massimo Troisi. Ho
custodito nel mio ufficio un programma in due puntate su Massimo
registrato quasi due anni fa al Teatro Bellini di Napoli, intitolato "Noi
meridionali, presunti emigranti" che è un percorso diverso sul mondo
artistico e umano di Massimo, sulle sue scelte, sul suo modo di
proporsi, sulla sua generazione che ha regalato a Napoli, venticinque
anni fa, un incredibile rinascimento culturale nel teatro, nel cabaret,
nel cinema, nelle arti plastiche e figurative oltre che nella musica. Il
programma finora è stato visto solo da alcune centinaia di spettatori
al Festival Sergio Leone di Torella dei Lombardi (provincia di Avellino)
dove una sera dell'estate scorsa abbiamo ricostruito lo spirito della
singolare amicizia che ha avvicinato a Massimo un burbero e visionario
creatore di cinema come Sergio Leone, complice un viaggio in un
villaggio vacanze della Costa d'Avorio.
Il programma nato con l'idea di presentarlo a Rai Tre non ha potuto finora essere proiettato per una questione di diritti delle sequenze de “Il postino” utilizzate per spiegare meglio la personalità di Troisi e il perchè dell'innamoramento per il libro dello scrittore cileno Antonio Skármeta che ha ispirato il film-testamento di Massimo. Volle girare, infatti, “Il postino” a rischio della propria salute (rinviando l'intervento al cuore già programmato) perchè la storia, riambientata in Italia del postino Mario Ruoppolo, che attraverso Pablo Neruda e la sua poesia scopre la coscienza civile e muore in una manifestazione di piazza repressa dalla polizia dell'epoca di Scelba, lo aveva emozionato così come i versi del grande Nobel cileno, esule nel '51-'52, proprio fra Napoli e Capri.
Quella scoperta lo aveva incuriosito e gli aveva rivelato l'universo appassionato dell'autore del “Canto general”.
Spero che un giorno o l'altro le autorizzazioni a trasmettere questo omaggio arrivino per ricordare agli italiani un attore e autore inimitabile. Perchè quel viaggio nel mondo e nelle idiosincrasie di Troisi, con le testimonianze di Antonio Skármeta, di Pietro Ingrao, di Roberto Benigni, di Ettore Scola, di attori come Mariano Rigillo e Linda Moretti, di Enzo Decaro, di Massimo Bonetti, di Anna Pavignano (sceneggiatrice di tutti i film di Massimo) e anche di Enzo Gragnaniello e James Senese, quel viaggio è un'occasione unica per riflettere sulla modernità artistica di Troisi, sulla vena innovativa della sua comicità, sul suo linguaggio, sul suo cinema e perfino sulla sua passione civile.
Per ricordarlo, ora che ci manca da dieci anni, mi piace riproporre quanto scrissi allora sull'Unità.
Massimo
Troisi era un essere umano leggero, lieve, forse stonato in un'epoca ed
in una società dello spettacolo dove imporre la propria presenza,
essere arroganti, è il comportamento di moda. Massimo sapeva stare al
mondo rendendo gradevole la vita dei suoi amici e della gente che gli
era cara senza sfiorare mai gli altri con le sue angustie. Del suo
"cuore malato", operato a Houston per due volte, non parlava mai, al
massimo ci scherzava sopra facendo il verso alle parole di una immortale
canzone che talvolta intonava cercando di imitare Sergio Bruni. Si era
fatto conoscere come comico negli anni ‘70 con il gruppo La Smorfia
composto, oltre che da lui, da Enzo Decaro e Lello Arena, ed aveva
raggiunto il successo con "Non Stop", una di quelle
trasmissioni-laboratorio della RAI inventate da Bruno Voglino dove
nascevano spesso artisti che duravano molto più di una stagione e comici
non schiavi di una battuta o incapaci di andare oltre i due minuti di
esibizione. Erano comici spesso inventori di un genere, lettori ironici
del quotidiano, o interpreti sarcastici della società in cui vivevano.
Fu la stagione, oltre che di Troisi, di Benigni, di Verdone, di Grillo.
Sono passati soltanto 25 anni e sembra un'eternità. La tv schiava
dell'audience, la tv commerciale ha disintegrato anche la capacità di
far ridere intelligentemente. E non dico questo perchè Troisi, come gli
altri che ho citato, erano indicati come "comici di sinistra", cosa che
oggi apparirebbe un peccato. "Scusa, ma da che parte potevo stare? - mi
disse una volta Troisi sorridendo - Songo nato a San Giorgio a Cremano e
al pizzicagnolo che ogni mattina mi dava pane e mozzarella io dicevo
sempre di aver fede, perché ai poveri ci pensa Dio. Pover'omme. Un
giorno, stanco di segnare sul quaderno dei crediti, mi disse 'non
sarebbe meglio, aspettando Dio, che a saldare il conto passasse tuo
padre?'". Nel cinema fu una rivelazione con "Ricomincio da tre", un
film del 1981 dove c'erano tutti i dubbi e le disillusioni della sua
generazione, ma anche tutto il suo senso della vita, la sua filosofia
basata sull'arte di accontentarsi, forse anche un po' della sua famosa
pigrizia. Fu questo il sentimento che Massimo apprezzava come una
cultura, più che il timore di non riuscire a ripetersi, a convincerlo ad
aspettare più del previsto prima di dirigere "Scusate il Ritardo".
Amava le donne e lo sport e voleva aver tempo per queste due passioni.
"Chi l'ha detto che non è serio amare due donne nello stesso momento e
perder tempo per fare la formazione della propria squadra?". Quando il
Napoli vinse lo scudetto fu memorabile l'intervista a cui mi costrinse
nella trasmissione organizzata per l'occasione facendo finta di essere
l'unico napoletano a non aver avuto la notizia e commentandola sorpreso
con tutti i luoghi comuni che riguardano il calcio e le interviste.
Ricordo ancora come un incubo gioioso le puntate intere in cui Massimo e
Benigni occupavano "Blitz", il programma domenicale che vent'anni fa
facevo su Raidue. Come i grandi del neorealismo sapeva cogliere il
particolare delle cose, delle situazioni, perfino i tic delle persone e
trasformarli in una introspezione ironica. Eduardo De Filippo mi disse
una volta che era un comico di domani con le radici nel passato. Sotto
la sua pigrizia nascondeva però talvolta una volontà di ferro. "Il
postino di Neruda", il film con Philippe Noiret terminato il giorno
prima di morire, lo aveva inseguito per anni, dopo aver scoperto, come
ho scritto, il libro di Skàrmeta, un autore cileno del quale mi aveva
chiesto ogni dettaglio. Forse per una volta ha voluto controllare il suo
cuore per riuscire a portare a termine un progetto amato. Se la storia è
andata così, è stata una delle poche volte che ha permesso al suo
raziocinio di prevalere sulle passioni. Ci manca tanto, Massimo.
Il programma nato con l'idea di presentarlo a Rai Tre non ha potuto finora essere proiettato per una questione di diritti delle sequenze de “Il postino” utilizzate per spiegare meglio la personalità di Troisi e il perchè dell'innamoramento per il libro dello scrittore cileno Antonio Skármeta che ha ispirato il film-testamento di Massimo. Volle girare, infatti, “Il postino” a rischio della propria salute (rinviando l'intervento al cuore già programmato) perchè la storia, riambientata in Italia del postino Mario Ruoppolo, che attraverso Pablo Neruda e la sua poesia scopre la coscienza civile e muore in una manifestazione di piazza repressa dalla polizia dell'epoca di Scelba, lo aveva emozionato così come i versi del grande Nobel cileno, esule nel '51-'52, proprio fra Napoli e Capri.
Quella scoperta lo aveva incuriosito e gli aveva rivelato l'universo appassionato dell'autore del “Canto general”.
Spero che un giorno o l'altro le autorizzazioni a trasmettere questo omaggio arrivino per ricordare agli italiani un attore e autore inimitabile. Perchè quel viaggio nel mondo e nelle idiosincrasie di Troisi, con le testimonianze di Antonio Skármeta, di Pietro Ingrao, di Roberto Benigni, di Ettore Scola, di attori come Mariano Rigillo e Linda Moretti, di Enzo Decaro, di Massimo Bonetti, di Anna Pavignano (sceneggiatrice di tutti i film di Massimo) e anche di Enzo Gragnaniello e James Senese, quel viaggio è un'occasione unica per riflettere sulla modernità artistica di Troisi, sulla vena innovativa della sua comicità, sul suo linguaggio, sul suo cinema e perfino sulla sua passione civile.
Per ricordarlo, ora che ci manca da dieci anni, mi piace riproporre quanto scrissi allora sull'Unità.
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Gianni Minà, in "Vivaverdi", maggio-giugno 2004
Questo il link dell'articolo sul sito ufficiale di Gianni Minà: http://www.giannimina.it/index.php?option=com_content&task=view&id=157&Itemid=53
Stralci di questo pezzo furono pubblicati anche su "L'Unità" domenica 5 giugno 1994, all'indomani della scomparsa di Massimo.
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