«Scarabocchi
personali» di Ettore Scola, in mostra nella Sala Murat di Bari. Il
regista disegna il repertorio umano con uno stile incisivo, duro e
spigoloso
BARI
- Per Ettore Scola i suoi disegni sono qualcosa in più di un pensiero
trasformato in tratto grafico, sono, come egli stesso li definisce,
«scarabocchi personali, destinati più al cestino che al cassetto». Per
chi invece conosce lo Scola regista, quello capace di aspri affondi
sociali su una commedia umana tutta italiana, tagliata con sguardi a
tutto tondo sui ceffi grotteschi del sottoproletariato, sui saccenti e
patetici intellettuali salottieri, sulle delicate solitudini di donne o
di omosessuali, questi universi di bizzarre creature aiutano a
tratteggiarne meglio la fisionomia creativa.
E’
un’umanità in cerca del «buffo dell’esistenza», costipata in affollati
disegni o staccata in più sfoltite ambientazioni, da oggi in mostra a
Bari all’interno della Sala Murat in occasione del BifEst. Per
l’inaugurazione ufficiale bisognerà aspettare invece il 23 marzo quando ci sarà anche l’autore, che del festival barese è il presidente. La mostra invece sarà visibile fino al 30 marzo
e poi proseguirà per Parigi. In realtà lo Scola disegnatore è sempre
esistito, da quando giovanissimo partecipava alla rivista satirica
Marc’Aurelio, storico magazine di cui condivideva le pagine con mostri
sacri del calibro di Fellini, Camerini, Steno, Scarpelli, Marchesi,
Metz, Zavattini. All’amico Fellini è peraltro dedicata una
microsezione della mostra, dove il maestro è trasformato in un’icona,
assolutamente riconoscibile anche quando compare di spalle seduto sulla
sedia di scena con l’inconfondibile cappello, o quando campeggia isolato
a tutta pagina in una grandezza che suona come un deferente omaggio.
Molti dei suoi personaggi di penna, spesso precisati con più marcate
identità direttamente nei suoi film, affidati a lapis o a inchiostro di
china, disposti su fogli, tovaglioli, e margini di giornali, sono al
contrario anonime comparse, esponenti di una variegata tipologia
sociale.
Un
repertorio umano popolato da nani, donne procaci, ometti opachi,
turisti improbabili, incalliti e sfigati spettatori tv, tutti in uno
stile compendiario ma incisivo, duro e spigoloso, ideale per una messa a
nudo di vizi e virtù. Appena deformate o semplificate nel tratto, le
figure si impongono nelle addensate impaginazioni dove si schierano come
in un lungo piano sequenza, oppure si palesano in composizioni più
rade, dove si impegnano in eccentriche ritualità o citano celebri
fumetti, come nel caso del Bobo di Staino. Comunque difficilmente
lasciano del tutto indifferenti, piuttosto recapitano quello stesso
amaro retrogusto dei suoi più popolari personaggi cinematografici. La
celebrazione scoliana avrà il suo punto di forza il 26 marzo quando
nella Sala 1 del Multicinema Galleria verrà proiettato il film
documentario intitolato Un ritratto di Ettore Scola diretto da Davide
Barletti e Lorenzo Conte.
Marilena Di Tursi
Fonte: Corriere del mezzogiorno
Un
disegno di solito è un progetto, organizzato prima mentalmente poi
graficamente, quasi sempre ispirato da intenzioni illustrative,
ornamentali, celebrative e caricaturali, eseguite per studio, per
committenza e per omaggio.
I
miei disegni invece - se si escludono le vignette del mio giovanile
apprendistato nel settimanale "Marc'Aurelio" e qualche schizzo buttato
giù durante la preparazione di un film per chiarire a me stesso e ai
miei collaboratori lo spunto iniziale di un carattere, di una scena o di
un costume - sono scarabocchi personali, destinati più al cestino che
al cassetto.
Sono ghirigori mentali, giochi di parole visivi, segni tracciati per distrazione riflettendo ad altro o a niente.
Li faccio da sempre,
su fogli, tovaglioli, margini di giornali (quasi mai su album da
disegno), a lapis, a penna a inchiostro di china (mai con l'odiata
biro). Non essendo io particolarmente dotato né per il ritratto né per
il paesaggio, i miei "soggetti" sono figurine anonime, passanti e
astanti irreali che trovano la loro possibile realtà nel riferimento a
similitudini, tic e comportamenti di ordinaria quotidianità.
Sono
personcine dall'esistenza abbreviata in una sola dimensione, senza
chiaroscuri, perplesse nella fissità di un cenno o di uno sguardo: come
quando un improvviso pensiero ci blocca per un istante in un gesto a
mezz'aria. Ometti di periferia, donnine di case modeste, nudi o vestiti
ma sempre alla ricerca di un contegno che sperano di trovare magari
mettendo una mano in tasca e avendo un bicchiere nell'altra. Accostati
per contrasto, figli giganti e padri nani, mariti minimi e mogli
debordanti tentano di farsi notare con una occhiatina allusiva, un passo
elegante, un atteggiamento allegro che ci faccia dimenticare la loro
mostruosità.
Umanità piccola e malinconica che, se proprio le si vuole trovare uno scopo, è lì per affermare il lato buffo dell'esistente. Che poi è quello che ci aiuta a trovare il coraggio di vivere.
Con Massimo Troisi ci siamo trovati fuori dai film, umanamente. L'ho conosciuto quando ancora non faceva cinema, con La Smorfia. Mi piaceva il suo essere così poco napoletano nelle cose che non mi piacevano, io che sono di mamma napoletana. Era un intellettuale della contronapoletanità, fu contento di lavorare con Mastroianni perché non è che amasse molto fare il regista, mestiere di grande fatica fisica e dispersività. Ognuno vuole fare una domanda al regista che non ha quasi mai una risposta ma deve fingere di averla. Fu un rapporto facile, comodo e facemmo altri due film, nonostante gli dissi che non gli conveniva riguardo gli incassi. Con me faceva film di nicchia, ma lui amava questo. Abbiamo fatto tre film insieme più per il piacere di stare insieme che per i film.
Umanità piccola e malinconica che, se proprio le si vuole trovare uno scopo, è lì per affermare il lato buffo dell'esistente. Che poi è quello che ci aiuta a trovare il coraggio di vivere.
Con Massimo Troisi ci siamo trovati fuori dai film, umanamente. L'ho conosciuto quando ancora non faceva cinema, con La Smorfia. Mi piaceva il suo essere così poco napoletano nelle cose che non mi piacevano, io che sono di mamma napoletana. Era un intellettuale della contronapoletanità, fu contento di lavorare con Mastroianni perché non è che amasse molto fare il regista, mestiere di grande fatica fisica e dispersività. Ognuno vuole fare una domanda al regista che non ha quasi mai una risposta ma deve fingere di averla. Fu un rapporto facile, comodo e facemmo altri due film, nonostante gli dissi che non gli conveniva riguardo gli incassi. Con me faceva film di nicchia, ma lui amava questo. Abbiamo fatto tre film insieme più per il piacere di stare insieme che per i film.
Ettore Scola
Nel video seguente c'è anche Rosaria Troisi, che a proposito di "Che ora è" ci parla del rapporto di Massimo con papà Alfredo con divertenti aneddoti.