loro recitavano supportati soltanto da strategie istintive e
artigianali, rendendoli, in corso d'opera, consapevoli delle tecniche
adoperate e delle scelte teoriche compiute.
Riporta un episodio emblematico: al termine di uno spettacolo, il critico Enrico Fiore definiva il loro cabaret un "contro-cabaret"; solo alla fine della lunga conversazione, timidamente Troisi chiese: "Dottor Fiore ma questo fatto del cabaret è un fatto buono?". In termini simili si era svolto anche il confronto con Dario Fo, che avendo ravvisato un forte parallelismo tra il suo Mistero Buffo e la Natività, ne cercava il riscontro presso i ragazzi. In questa occasione, sottolinea ancora Decaro, "ci mettemmo un po' più di tempo e di coraggio a rivelargli che noi di Mistero Buffo non sapevamo nulla". Che la dimensione in cui si muoveva il gruppo della "Smorfia" fosse lontana dal dibattito intellettuale italiano è evidente, così come risulta chiaro che l'ironico distacco - agli esordi fortuito, poi conservato e custodito con cura - dalle categorie della cultura "alta" è stato il segno sotto il quale si è svolto anche il percorso di Massimo Troisi, regista e attore.
Nascosto dietro il suo singolare "idioletto" linguistico - parole smozzicate, sospese, appena accennate ad indicare improvvisi ripensamenti - in bilico tra il dialetto e l'italiano, Troisi aveva fatto del frammento un tratto incisivo, l'espressione di una diffusa condizione esistenziale fondata sull'incertezza. E' azzerata la distanza tra l'artista e il suo pubblico nella rappresentazione di storie semplici, plausibili, animate da protagonisti vulnerabili, "avvitati" sulle loro stesse fragilità, fino alla soglia della regressione. Per questi personaggi, ai quali Troisi ha sempre prestato il suo volto, stentati nell'eloquio come nella vita, la precarietà non è solo una condizione sociale. Sempre oscillanti tra piccoli o grandi fallimenti e l'ansia del riscatto, riescono ad esercitare una proficua dialettica del dubbio, per approdare all'ironica consapevolezza, da offrire a tutti, che ben poco vi è di assoluto, certo, sicuro.
FONTE: La Repubblica